“Ha personalità, un allenatore deve fare sapere ai giocatori chi è il capo”, ha dichiarato l’attaccante bosniaco in un’intervista esclusiva a Il Messaggero. “Lui ha queste caratteristiche, come era Magath ai tempi del Wolfsburg. Spalletti è uno che vuol sempre vincere e anche questo è positivo per la Roma. A Roma non è facile: se vinci tre partite hai vinto lo scudetto, se ne perdi una va tutto male. Così non è possibile. Spalletti è uno che cura i dettagli: vuole che tutto sia perfetto anche in allenamento. È un aspetto su cui spinge molto: ci dice sempre che se vogliamo vincere dobbiamo lavorare bene. L’Italia rappresenta una crescita nella mia carriera, anche grazie agli allenatori come Spalletti: è forse uno dei migliori che ho avuto. Quando non ho giocato lo pensavo ugualmente. Per questo dico che se avessi avuto lui e l’Italia prima dell’Inghilterra forse arei fatto di più anche nella stessa Premier”.
Le piace anche quando le dice di essere molle?
“Sì, questo è normale. Vuole sempre di più da me e da tutta la squadra. Noi siamo giocatori e ragazzi, viviamo di emozioni. Quindi mi piacerebbe sentire ogni tanto da lui anche qualche complimento. Di aver fatto bene. Ma io non ho nulla contro Spalletti. Voglio fare sempre di più. Quello che mi dice è uno stimolo”.
Riesce a girare un po’ per Roma?
“Non è facile. Mi è capitato di andare in centro, ben coperto per non farmi riconoscere. Con il cappello e con gli occhiali. Ricordo quando sono venuto a Roma ai tempi in cui giocavo nel Manchester: non mi ha filato nessuno, giravo tranquillamente. Oggi non è più così, sono riuscito a fare due passi in via Condotti con la mia compagna solo il lunedì dopo il gol alla Juventus. Ma ero appena arrivato, era la prima partita. Certo, Roma è comunque Roma. Quando ero a Manchester pioveva spesso e se fossimo stati ancora lì con la bambina sarebbe stato difficile anche uscire. Qui, invece, possiamo andare tutti i giorni fuori, è una vita migliore per crescere. Come dice Spalletti “a Roma si vive bene”. Questo è verissimo. Roma è una città meravigliosa, specie per chi ha vissuto non in posti eccezionali come Manchester o Wolfsburg. Certo, muoversi in macchina diventa un problema: le strade sembrano quelle di Sarajevo dopo i bombardamenti. Si vede che è una città in difficoltà, in crisi. Bisogna investire sulle strade, non si possono abbandonare così”.
Quanto è complicato, però, l’ambiente?
“In generale più di altri”.
Troppe critiche?
“In Inghilterra c’era meno pressione, se non giochi bene è normale che ti critichino. Ma le critiche fanno parte del gioco, le accetto. Roma è simile alla Bosnia: non ti criticano, ti insultano. Quindi sono abituato. Se lo fanno a casa mia…Fai bene tre volte, ma se alla quarta sbagli, ecco che ricominciano con gli insulti. È come se si aspettasse l’occasione giusta per colpirti”.
Crede che, insomma, qui abbiamo esagerato con la cattiveria?
“Io posso solo ricordare quello che ho vissuto e allora mi viene spesso in mente che, se faccio bene tutta la partita e poi sbaglio un’occasione, tutti parlano solo del gol sbagliato. Solo quello. L’anno scorso hanno finito per influenzare anche Spalletti, che dopo non mi ha fatto giocare”.
C’è un gol sbagliato a cui ancora pensa?
“Evito di soffermarmi sugli errori sotto porta. Ma quello contro il Palermo non si può spiegare”.
Perché?
“Era la foto della scorsa stagione: di come stavo io, di come stava il mio piede. Davanti a quella palla gol non ero io, non era il mio piede. Davvero, non si può spiegare, non mi era mai successa una cosa simile. E di gol ne ho sbagliati, ma così mai. Poi quella sera ne ho fatti due più due assist, ma nessuno ha parlato di questo. Rimane sempre impresso il mio errore”.
Il gol a cui è più affezionato, invece?
“Quello alla Juventus, il primo. È sempre importante lasciare subito il segno quando si viene in una nuova squadra. Io vivo per il gol. I gol sono la mia vita, spero di farne ancora tanti e di aumentare il livello delle mie performance”.
È vero che Silvano Martina, procuratore di Buffon e grande amico di suo papà, le ha proposto di andare alla Juve?
“Silvano è una persona importante per me, mi confronto con lui su tante situazioni. È vero che c’è stata la possibilità di andare in bianconero. Ma alla fine sono qui e sono felice di questa scelta”.
Tornando al dopo gol alla Juve: perché la stagione poi è andata male?
“L’anno scorso non ho fatto la preparazione con la mia squadra perché c’era sempre la voglia di andare via dal City e anche lì non ho giocato le amichevoli e dopo due-tre mesi a Roma anche la forma è andata già. Non sono stato preparato bene come mi sento adesso”.
Ha pensato anche di andare via?
“Sì, succede quando non giochi. Poi ho deciso di restare e ne ero sempre più convinto, anche nell’ultima in casa contro il Chievo: non ho giocato quel giorno, ma mi sono detto: da qui non mi muovo. Scelta mia, non mi ha chiesto nessuno di rimanere. Era una sfida da vincere. Sono andato in vacanza, ho staccato la spina e sono ripartito”.
Il primo anno non bene, poi grandi prestazioni nelle seconde stagioni. Per lei è una costante?
“È vero, ignoro il motivo, ma è sempre andata così”.
Da Garcia a Spalletti: è davvero cambiato tutto per lei?
“Sono diversi. Prima di venire qui tanti giocatori mi dicevano che in Italia ci si allenava tanto. Avevo scherzato con Mancini che mi aveva avvertito di prepararmi a correre. E la stessa cosa mi ha confermato Jovetic. Poi sono arrivato a Roma e con Garcia non era proprio come mi avevano preannunciato. Era anche colpa nostra, molti di noi erano stanchi, avevano problemi e anche Rudi non voleva fare molto in allenamento. A quel pinto diventava difficile giocare bene per novanta minuti. Dopo settanta eravamo tutti stanchi. Lui doveva essere un po’ più duro, proprio come Spalletti. Bisognava evitare che qualcuno si rilassasse troppo. Questa è una grande squadra che deve vincere sempre e se non sei preparato bene non ottieni nulla”.
Che campionato è la Serie A rispetto a quelli in cui ha giocato?
“La Premier è la numero uno. In Italia ho imparato tanto in un anno e mezzo, forse di più degli otto anni in cui ho giocato in Germania o in Inghilterra. In Italia è diverso, più impegnativo. Magai avessi giocato prima qui e dopo in Inghilterra. Avrei avuto solo vantaggi”.
Si cura più tattica e tecnica?
“La tattica è al primo posto e la sfrutta anche un centravanti che impara a muoversi”.
A proposito: conferma di non sentirsi una prima punta?
“È vero, non sono un attaccante che resta in area di rigore ad aspettare. Mi piace partire da dietro, giocare con e per la squadra. Fare gli assist. Quando ero piccolo facevo l’ala destra, il mio idolo era Shevchenko. Sono impazzito per lui quando segnò a tripletta contro il Barcellona al Camp Nou”.
Non van Basten, come dicono in Bosnia?
“Qualcuno mi ha accostato a lui, ma per me, all’inizio, esisteva solo Sheva”.
È stato chiamato dalla Cina: perché ha detto no?
“Penso che nella vita c’è solo una carriera. Io non mi sento ancora vecchio, voglio giocare tanto e ad alti livelli. Per me questo è più importante del resto. Anche dei soldi io ho guadagnato bene e sono felice così. Ho scelto di rimare qui per vincere pure con la Roma. Il futuro post calci? Non ci ho pensato, perché mi vedo calciatore ancora per tanto tempo”.
Sarebbe contento se dovesse arrivare a Roma un altro attaccante. Si è sempre parlato della necessità di un vice Dzeko.
“Io dico solo una cosa. A me piace giocare, poi, ogni tanto, mi fa bene anche riposare”.
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