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L'idea di calcio di Gian Piero Gasperini


La difesa a tre, le marcature uomo su uomo, l’evoluzione in Serie A in diciotto anni di campionati su diverse panchine, le metodologie di allenamento.

L’idea di calcio e del calcio in generale di Gian Piero Gasperini spiegata dalla sua viva voce, raccogliendo alcune dichiarazioni del nuovo allenatore giallorosso.

Di seguito le sue parole rilasciate in due lunghe chiacchierate con Dazn, intervistato da Andrea Barzagli nel 2023, e in un forum con i cronisti della Gazzetta dello Sport nel 2024 dopo aver vinto l’Europa League a Dublino in finale contro il Bayer Leverkusen.


Il sistema di gioco

“Per anni tutti pensavano che io facessi solo marcature a uomo. Non è mai stato così. Non ho mai spostato un esterno da una zona all’altra a seguire un giocatore o un centrocampista o un difensore. Il principio era quello di accorciare in avanti, quello sì, e di andare a prendere l’avversario che giocava davanti al mio difendente. Questo è stato il primo principio. Quando si è affacciata la zona negli Anni 80 – la zona in realtà c’è sempre stata – ma in quel periodo è diventata una zona pressing, per effetto soprattutto di tanti allenatori. E non tutti arrivavano dal calcio. Il più eclatante è stato Sacchi. Da giocatore, con il Pescara di Galeone, eravamo l’unica squadra che faceva la zona, tra Serie A e Serie B. Lì mi si è aperto un mondo. Il pressing. Andare sull’avversario. Non aspettare di perdere palla, ma di andarla a riconquistare”.

“Difendere a tre, adottare il 3-4-3, l’ho acquisito in seguito. Ho iniziato a fare l’allenatore nelle giovanili, mi portavo dietro il 4-3-3, poi come ho detto altre volte ero stanco di dire a un terzino di inserirsi e all’altro di fermarsi, e poi ho scoperto questo sistema andando in giro anche in Europa a vedere squadre, vidi l’Ajax e capii che questo modulo poteva funzionare. Questa difesa a 3 era una novità assoluta in Italia, se non per le squadre molto difensiviste, catenacciare, bloccate con il 3-5-2. Invece, questa era una difesa a 3 molto propositiva, con vari giocatori che partecipavano al gioco. Non ho inventato niente, ho copiato (ride, ndr)”.


L’evoluzione in Serie A

“Nel 2007, quando venni in Serie A con il Genoa, si diceva che non si poteva vincere difendendo a tre dietro, ora la difesa a tre la adottano quasi tutti. Ho visto Champions vinte con tre centrali dietro. Quello dei primi anni di Genova è stato il momento personale più di novità, poi è chiaro che negli anni ti evolvi sempre, dato che si evolvono gli avversari, dunque mi sono evoluto anche io. Ero molto più talebano al Genoa. Ad esempio, il trequartista non era contemplato nel sistema.

Di Vaio lo facevo giocare sull’ala e faceva quasi tutta fascia. Poi, in seguito, ci sono stati dei giocatori che mi hanno aiutato a rivedere alcune cose. Ad esempio, Burdisso nel Genoa mi ha portato a giocare uomo contro uomo dietro, prima mantenevo sempre la superiorità numerica, questo fino a qualche anno fa lo facevano quasi tutti, ora vedi tanti che dietro accettano l’uomo contro uomo dietro. E il Papu Gomez mi ha aiutato nella posizione di trequartista. Prima avevo giocatori di interpretazione diversa come Kurtic e Cristante”.


Risultati e bel gioco

“Giocare bene a calcio è quando hai giocatori bravi tecnicamente. Allora riesci a giocare bene a calcio. È sempre stato un mio obiettivo giocare bene a calcio. Il risultato deve arrivare attraverso il gioco, di questo sono sempre stato straconvinto. Io credo che se giochi bene a calcio, hai più possibilità di fare risultato. Quello che ha contraddistinto la mia carriera sono stati i risultati. Io, essenzialmente, ho fatto sempre tanti risultati. Li ho fatti a Crotone, li ho fatti a Genova, li ho fatti a Bergamo. È molto facile, se non fai risultati non ti riconoscono nemmeno la qualità del gioco. Se giochi bene e perdi poi ti dicono che forse non stai giocando tanto bene”.

“Quando vinci e a quello abbini anche la qualità del gioco, ti viene riconosciuto. Io penso di aver fatto tanti risultati, quello sì. Di conseguenza una squadra che gioca con l’obiettivo di vincere, propositiva, ha più possibilità di arrivare al risultato. Questa è la mia convinzione. Le mie squadre hanno cercato sempre di fare tanti gol, per me l'attaccante deve segnare o far segnare. Quanto a quelli subiti, non credo che ne abbiamo presi tanti di più, non ho mai avuto difese così perforabili, sono state sempre nella media della posizione in classifica, però la fase offensiva è sempre stata un po’ più alta della posizione”.


Il rapporto con i giocatori

“Caratterialmente non sono il padre di famiglia, io chiedo molto sul campo, sugli allenamenti, poi dopo non sono uno che si informa cosa fa a casa, se esce la sera, l’importante è che quando arrivi al campo sia nelle condizioni giuste di rendere al meglio. Non sono uno che stressa diversamente i ragazzi. Cerco di ridurre la maggior parte del rapporto professionale a quello che riguarda il calcio. Se urlo con loro durante gli allenamenti o la partita, urlo per stimolarli. E basta. Non per sminuirli”.

“Per migliorarli i giocatori devo tirare fuori quello che loro hanno, non posso fare di più. Vengono fuori buoni giocatori perché sono giocatori forti, devo esaltare le loro caratteristiche. Come si fa a tirar fuori le loro miglior caratteristiche? Questa è una cosa che mi porto dietro dal settore giovanile. Dove lavori più sul ragazzo che sulla squadra. Lavori anche molto sulla prospettiva, il ragazzo lo vedi più per quello che può diventare, piuttosto che quello che è. Lavori su parte fisica, tecnica, atletica, ma soprattutto sulla testa. Devi essere convincente, se tu lo convinci allora hai risolto il problema. La cosa difficile a volte è trovare la chiave di ingresso per trasferire quello che vuoi dire. Oggi ti aiuti con i video, che non sono opinione, ma quello che succede veramente in campo”.  


Gli allenamenti

“Nel mio studio prepariamo gli allenamenti. Ci ritroviamo prima di ogni allenamento, dopo ogni allenamento, per verificare come è andato il lavoro. Oggi negli allenamenti c’è bisogno di staff numerosi e di gente qualificata perché crediamo tutti quanti anche nella personalizzazione dell’allenamento. C’è una parte che riguarda sicuramente la squadra, le esercitazioni di squadra, la tattica, poi c’è una parte di preparazione non solo fisica, ma tecnica. Siamo tornati ad introdurre una parte riguardante la tecnica di base quasi da settore giovanile, nella parte iniziale dell’allenamento. Perché ho riscontrato la necessità di incrementare non solo il livello fisico e tattico, ma proprio i fondamentali, il controllo, lo stop, il passaggio, il tiro, il colpo di testa. In Serie A tutti sanno giocare a calcio, ma tutti possono migliorare molto”.

“Quanto ai miei allenamenti, io non penso di fare allenamenti molto diversi da tante altre squadre. A volte spingiamo di più, ma le metodologie di allenamento sono diffuse. Per me ci sono una serie di principi fondamentali. Uno è la varietà, allenarti sempre uguale crea assuefazione e non aiuta. Io sono sempre alla ricerca continua di esercitazioni e allenamenti diversi. L’altra è che i giocatori ci devono credere. Quando vedo qualche giocatore affaticato gli dico fermati, lo rifarai domani o dopodomani quando starai meglio. Non puoi spremere un limone che è già spremuto. E non ho mai avuto dei grossi problemi con dei giocatori per il fatto della preparazione, per me è fondamentale che siano gratificati e che gli possa essere utile per quello che devono fare in campo”.