Un percorso iniziato cinquant'anni fa, con il primo scudetto. Attaccante, in quella stagione realizzò dieci gol. In una squadra che oggi Antonio Sellitri definisce "irripetibile".
Perché era così speciale?
“Non so quante ne siano esistite così forti a livello primavera, probabilmente nessuna. Direi che è stata una combinazione perfetta. Se fosse esistita la Youth League, avremmo vinto anche quella. Eravamo quasi tutti romani e tenevamo molto alla maglia.
Eravamo uniti e potevamo contare su calciatori di livello altissimo, come poi hanno dimostrato le rispettive carriere. I nomi li sapete. Soprattutto Rocca, Di Bartolomei e Peccenini”.
Erano loro le stelle?
“La forza era il gruppo. Ma io credo che il povero Stefano Pellegrini, che ci ha lasciati troppo presto, sia stato il giocatore più forte mai uscito dal settore giovanile della Roma, a parte Totti. So che questa frase potrà sembrare esagerata, ma raramente si vede un calciatore così completo.
Aveva classe e potenza, calciava indifferentemente di destro e di sinistro, in Primavera era già di un'altra categoria e in campo metteva una grande personalità. Credo che abbia pagato la mancanza di continuità una volta entrato in prima squadra. Magari gli capitava che se giocava bene e segnava, giocava anche quella dopo, sennò tornava nel dimenticatoio fino a chissà quando. Invece avere fiducia è fondamentale. Penso ad esempio ad Agostino Di Bartolomei. Lui nei primi tempi ha avuto questa continuità, è cresciuto e poi sapete tutti che giocatore è diventato”.
Che ricordo ha di Agostino?
Ci conoscevamo bene, eravamo insieme già dagli Allievi. Le sue qualità erano evidenti, aveva un bel calcio, era intelligente in campo e fuori, aveva personalità.
In quella stagione il capitano era Pellegrini, ma l'anno dopo incominciò a indossare la fascia lui”.
Torniamo alla finale di cinquant'anni fa.
“L'Atalanta era una formazione fortissima. C'era Gaetano Scirea, uno dei migliori difensori italiani di sempre, c'era Musiello, che poi ha giocato anche nella Roma, il portiere era Luciano Bodini, che si è visto in Serie A con la Juventus. Il tecnico era Ilario Castagner ed effettivamente erano allenati molto bene.
Ricordo che nel primo tempo della partita di andata andavano a duemila, ci fecero veramente girare la testa. Però nel secondo riuscimmo a ribaltarla e ad andare a giocare la partita di ritorno partendo da un vantaggio di 2-1”.
Ma non fu semplice.
“È vero. Dopo essere passati in vantaggio 2-0 sembrava finita. Invece tra la fine del primo tempo e l'inizio della ripresa l'Atalanta pareggiò. Il secondo tempo fu come il primo dell'andata, loro correvano come matti e ci schiacciarono nella nostra metà campo.
Riuscimmo però a difendere il vantaggio e a toglierci questa grande soddisfazione in uno stadio Olimpico bellissimo, con più di ventimila persone”.
Quanto fu emozionante giocare all'Olimpico?
“Non era la prima volta. Già la finale dell'anno precedente, persa contro la Juventus, si era disputata lì. Anche durante la stagione giocammo contro il Cesena all'Olimpico, in attesa della partita della prima squadra contro la Ternana. C'era tanta gente anche lì, la Roma stava andando male in quel momento e il pubblico si era affezionato molto a noi, che invece vincevamo quasi sempre.
Il Tre Fontane era sempre pieno, si arrivava ad avere anche diecimila persone. Un clima di unità romanista meraviglioso, che ricordo con grande intensità ancora oggi”.
Era la vostra casa.
“Ne avevamo tante, di case. Trigoria ancora non esisteva e così ci allenavamo una volta al Tre Fontane, un'altra al Velodromo Olimpico, oppure al Flaminio o al campo Roma, quello della Romulea.
A volte capitava di sapere solo la mattina con un giro di telefonate dove e quando sarebbe stato l'appuntamento per allenarsi. Ma era un altro calcio e un altro mondo, le società non erano organizzate come lo sono oggi”.
Di sicuro non vi siete annoiati.
“Certamente no. Eravamo sempre in movimento. Molti di noi si allenavano spesso con la prima squadra.
Inoltre, in quella stagione arrivammo in semifinale in Coppa Italia, perdendola contro la Fiorentina. Ci saremmo rifatti l'anno dopo, vincendo uno storico "double", scudetto e Coppa Italia insieme”.
Qual era il vostro segreto?
“Era un gruppo senza gelosie. Stavamo bene insieme, ognuno sapeva il suo ruolo. Fuori dal campo ci divertivamo molto, ma poi in campo ognuno era pronto a dare tutto se stesso per gli altri e per ottenere il risultato di squadra. Tonino Trebiciani era bravissimo a tenere in mano lo spogliatoio perché sapeva quando essere duro e quando no.
Anzi, a volte il primo a organizzare scherzi era proprio lui. Saper gestire uno spogliatoio è la base, puoi anche essere l'allenatore tatticamente più preparato al mondo, ma se non sai portare i giocatori dalla tua parte difficilmente arriverai al risultato. Poi, Trebiciani andò in prima squadra e venne Giorgio Bravi, che si sentiva un po' più allenatore, ma non snaturò la squadra e infatti arrivammo alla vittoria”.
Siete rimasti in contatto?
“Alcuni di loro, come Vichi, Palmieri o Sandreani li sento spesso. Fino a un po' di tempo fa facevamo una cena una volta all'anno.
L'affiatamento è sempre quello di allora. Anche se non ci si vede per anni, poi ci si incontra ed è come se ci fossimo salutati il giorno prima, come se il tempo non fosse passato”.
In tutto ciò, Antonio Sellitri che giocatore era?
“Attaccante. Diciamo che ero la brutta copia di Stefano Pellegrini, che come ho detto per me era un fenomeno. Correvo, aprivo spazi. Poi, certo, qualche gol l'ho fatto anche io. Forse ero troppo timido e non avevo la faccia tosta che serviva per farsi strada.
Dopo giocai con Cynthia, Bancoroma, Pro Cisterna. Ma senza la maglia della Roma addosso rendevo almeno al 50% in meno di ciò che potevo dare. Se sei romanista, è così”.
E quindi, Antonio Sellitri che romanista è?
“Totale. Ovunque ci sia Roma, mi appassiono. Seguo il giallorosso ovunque sia. Se magari la prima squadra vince, la Roma femminile vince, ma la Primavera perde, già mi innervosisco perché vorrei vedere la Roma vincere ovunque.
Mi sono emozionato quando ho visto le mie maglie custodite nell'archivio storico. Quando vado allo stadio e ascolto i nostri inni, mi commuovo. Se sei romanista, è così. Oggi come cinquant'anni fa”.
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