E lo ha orgogliosamente celebrato con un tweet sul suo account. Noi l'abbiamo letto e l'abbiamo intervistata.
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A Milano con l’Inter ha rivelato di avere sostenuto la 200esima trasferta della sua vita. Ci parla un po’ di lei: dove vive, cosa fa nella vita, ed è abbonata in campionato?
"Vivo a Roma, ho una figlia, sono architetto, pratico la libera professione e sono abbonata da una vita. Il mio primo abbonamento è del 1980/81, la mia famiglia - mia madre, mio padre e mio fratello - era abbonata già da anni e mi portavano ogni domenica allo Stadio comprando il biglietto.
A quei tempi c’erano i mini abbonamenti per i ragazzi, quindi quell’anno fecero la tessera anche a me e da allora non ho saltato un anno. Né in campionato, né in coppa".
Che effetto le ha fatto l’inno cantato a San Siro?
"Ho fatto tantissime trasferte, anche di massa, come a Bari l’anno dello Scudetto, ma con l'Inter a Milano sono rimasta impressionata dalla nostra forza, dalla potenza, dalla compattezza nel cantare. E durante l’inno mi sono emozionata tantissimo: sembrava di stare all’Olimpico piuttosto che nel settore di San Siro. Brividi veri".
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Una trasferta implica diversi sacrifici. Cosa l’ha spinta ad averne fatte già duecento?
"Tanti sacrifici, assolutamente: il viaggio, il sonno a cui rinunci, i costi, l’organizzazione familiare, il lavoro. Ma è anche un privilegio poterle fare.
Io sono stata fortunata a nascere in una famiglia romanista dalla testa ai piedi. Il sabato pomeriggio dopo scuola si partiva e si trascorreva il weekend nella città in cui giocava la Roma. Crescendo, ho iniziato a fare le trasferte con gli amici, dalla mattina alla sera. Anzi, alla notte: quante volte siamo rientrati con le prime luci del mattino...
Fosse per me, andrei sempre in trasferta. Mia figlia spinge continuamente per partire. Lo stadio per un tifoso è un’altra cosa. Agli amici dico sempre che è comunque meglio perdere in trasferta che sul divano di casa".
Qual è stata la sua prima partita lontano dall’Olimpico?
"Per una incredibile coincidenza, la mia prima trasferta fu proprio a Milano contro l’Inter. Era il campionato 1981-82, venimmo sconfitti 3-2 e fu espulso Falcao. Non meritavamo di perdere e tantomeno di finire in 10. È una trasferta che non dimenticherò mai. Eravamo fortissimi. Rimasi malissimo per la sconfitta, erano i tempi in cui mi aspettavo di vincere ovunque andavamo".
E qual è la trasferta che le rimarrà per sempre nel cuore?
"Ne posso dire tre? Pisa Roma 1-2, campionato 1982-83. Lì abbiamo vinto lo Scudetto. Poi Juventus Roma 2-2 del campionato 2000-01. Altro Scudetto. E infine Roma-Feyenoord a Tirana.
Non dovrei aggiungere altro su questa partita, ma lo faccio. A differenza delle altre due, sono tornata non con la certezza di vincere, ma proprio con il trofeo in tasca: una sensazione pazzesca di cui ancora avverto gli effetti".
Come è diventata romanista? C’è un aneddoto particolare?
"Non ho ricordi di come sono diventata romanista, ma posso rivelare un episodio che può spiegarlo bene. Mio padre ama raccontare come nel 1974 mio fratello, che aveva 6 anni, andò da lui e gli chiese se poteva tifare anche per Chinaglia. Dopo un momento di smarrimento, papà gli disse di sì, ma da quella volta portò ogni domenica allo stadio sia lui che me alle partite della Roma. Avevo 3 anni.
Ovviamente, la tattica di mio padre funzionò alla grande. Per me e mio fratello fu amore totale. Immediato. La Roma è sempre stata nel mio DNA e non potrà mai uscirne".
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