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Marco Krieziu: "Lo scudetto del 1942 passò anche da Tirana, grazie a papà"


Tirana, Albania, per la Roma non significano soltanto 25 maggio 2022. C’è anche un pezzo dello scudetto del 1942 da raccontare, che parte da quel posto lì.

È la storia di Naim Krieziu, soprannominato “la freccia di Tirana”. Freccia perché di ruolo in campo era un’ala destra e nell’anno del primo tricolore giallorosso fu tra i calciatori chiave per il tecnico Alfred Schaffer. Collezionò 24 partite, segnando 6 gol in campionato. Terzo miglior marcatore della rosa dopo Amadei (18) e Pantò (12).

E pensare che lui era arrivato in Italia appena tre anni prima. “Fu il suo insegnante di educazione fisica, romano e romanista, a segnalarlo alla Roma. Si ritrovò così a fare un provino a Campo Testaccio: lo presero velocemente, dopo aver fatto dei tiri a Guido Masetti. Uno che per lui era un mito, che aveva visto e letto soltanto sulla rivista “Calcio illustrato” e che tre anni dopo sarebbe stato campione d’Italia con lui”. A parlare è il figlio di Naim, Marco.

Marco Krieziu non ha visto e vissuto la stagione 1941-42, essendo del 1960, ma il ricordo ce l’ha vivo in testa nelle memorie trasmesse dal papà nel corso del tempo. “Poi i giocatori di quella squadra lì ho conosciuti quasi tutti”.

Marco, 62 anni, è più che mai romanista, “una vittoria o meno della Roma condiziona le mie settimane”. Lavora ad un progetto innovativo, avveniristico, dopo essere stato a lungo nel campo dell’informatica: “Cerchiamo di recuperare le energie dal traffico veicolare per trasformarle in energia elettrica. Un’idea folle, ma di cui mi sono innamorato in un attimo”.

Come si è innamorato velocemente della Roma.

“Per me è stato un percorso naturale, con mio padre. Devo dire che questa consapevolezza è venuta nel tempo. Lui è sempre stato rispettato e ammirato dai tifosi, dalla gente comune, ma pure dalle diverse società che si sono avvicendate”.

“Fu anche allenatore della Roma, tra il 1963 e il 1965. Ha un primato particolare, nelle cinque panchine non fu mai sconfitto. Ci sono alcuni fatti, in questo senso, che si potrebbero menzionare, per far capire quanto sia stato amato e che persona fosse”.

Raccontiamoli.

“Uno risale più o meno agli anni 70. Papà mi portò allo stadio, eravamo in fila per prendere un biglietto. Ad un certo punto, durante l’attesa, Maurizio Cenci (storico dirigente del Club, ndr) lo riconobbe e gli disse: “Che stai facendo qui?”. “Vogliamo comprare solo un biglietto per vedere la Roma”. Pensava che nulla gli fosse dovuto, insomma. E rimase parecchio colpito pure dal calore della gente romanista durante la festa degli 80 anni della Roma”.

Dove fu invitato e chiamato nella passerella con tutti gli altri protagonisti del passato.

“Proprio così. Era il calciatore più anziano tra quelli presenti all’Olimpico quel giorno. Quando andammo via, eravamo io, papà e mia sorella, mentre ci accingevamo a riprendere la macchina su via dei Gladiatori, ci fermò un addetto al parcheggio, che ci chiese: “Ma lei è Krieziu?”. Noi rispondemmo di sì, ovviamente. Lui si avvicinò, dicendo: “La posso abbracciare? Ero con mio padre quando andai allo stadio la prima volta e lei giocava con la Roma”. Veramente toccante. Come quando una volta parlai con Fabio Cudicini”.

In che occasione?

“Era la prima celebrazione Hall of Fame della società, nel 2012. Pure in quella circostanza c’erano un po’ tutti i grandi. Tra questi Losi e De Sisti, che avevo conosciuto già e che erano stati allenati da mio padre, nella stagione della Coppa Italia conquistata poi nel 1964”.

“Poi vidi Cudicini, l’ex portiere. Con lui non avevo mai avuto l’occasione per parlarci, dato che ha sempre vissuto a Milano. Mi presentai, lui si fermò, sorrise e mi disse: “Krieziu, gran signore. Un uomo perbene”. Cose belle, che restano nel cuore”.

Con Amedeo Amadei, invece, il rapporto è sempre stato fraterno.

“Esattamente. Sono sempre stati amici per la pelle. Andarono anche a Napoli insieme. Quando iniziarono la carriera di allenatori, papà gli fece da secondo. E c’è una cosa, in particolare, che non mi lascia indifferente e che riguarda entrambi”.

Ovvero?

“Loro avevano tre anni di differenza. Papà era del 1918, mentre Amadei del ‘21. E pure quando se ne andarono, questa differenza temporale restò intatta. Papà nel 2010, Amedeo nel 2013. Un fatto incredibile, per me”.

Due campioni d’Italia della Serie A 1941-42, Krieziu e Amadei. Cosa ha rappresentato quello scudetto per suo padre, per la vostra famiglia?

“Un fatto epocale, qualcosa di straordinario. Fu il primo scudetto vinto nel centro-sud. Per papà non fu un’affermazione non banale, a me diceva sempre: “Una vittoria inaspettata”. La squadra era forte, però ci fu una chimica particolare che coinvolse tutto il gruppo, allenato da Alfred Schaffer, tecnico di cui lui ha sempre parlato benissimo. Gli diede subito fiducia, a partire dal 1939 quando mio padre arrivò dall’Albania, da Tirana”.

Tirana 1939, Tirana 2022. Un filo conduttore speciale, per un’altra vittoria magica della Roma.

“Di un successo del genere non sarebbe stato felice, di più. Lui venne via da Tirana prima della guerra, appunto, e poi non tornò più. Si era fatto la sua famiglia in Italia, a Roma, non aveva motivi per tornare in patria. Anzi, a pensarci bene, un motivo lo avrebbe avuto…”.

Quale?

“Nel vecchio stadio di Tirana – non l’Arena Kombetare dove ha giocato la Roma – c’erano due, tre stanze con una serie di ricordi, ritagli di giornali, riferite a lui che gli avrebbe fatto piacere vedere. D’altronde, resta il primo calciatore albanese della storia ad aver dato lustro al movimento calcistico del paese”.

Probabilmente anche il primo calciatore albanese a vincere uno scudetto in un campionato all’estero.

“Credo proprio di sì. A questo proposito vorrei citare un altro episodio particolarmente significativo. Alla presentazione del libro dello storico Massimo Izzi, che scrisse di quel campionato, fu invitato anche il signore fotografato con quel famoso cartello “Viva la Roma campione d’Italia””.

“Un’immagine iconica di quell’impresa. Ricordo un incontro molto tenero, toccante, papà aveva quasi 90 anni, l’altro signore più o meno coetaneo. A loro modo, due simboli eterni della prima Roma con il tricolore sul petto”.