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Zinetti: "Ha ragione Mourinho, serve tempo per una grande Roma"


Alla Roma è rimasto legato, Giuseppe Zinetti. Tanto. Si porta dietro l’orgoglio di aver vestito la maglia, aver vinto la Coppa Italia ma anche il rammarico di due finali andate male, “in particolare quella di UEFA”

Lui, nato a Leno nei pressi di Brescia, classe 1958, è stato portiere della Roma tra il 1990 e il 1993. Arriva nella Capitale da giocatore esperto, a 32 anni, per fare il secondo. “Ma giocai più di quanto mi aspettai. Cervone era infortunato e Peruzzi finì nella squalifica per la vicenda lipopill”. L’ultima gara in giallorosso la giocò proprio contro il Torino, la squadra che sarebbe stata sua da preparatore dei portieri dal 2011 e il 2016 con Ventura allenatore.

E oggi, che fa?

“Sono fermo, faccio il nonno, il papà, il dog sitter. Tutto. Vivo a Bologna serenamente in famiglia. Un po’ mi manca il lavoro, dico la verità. Quando sei in mezzo ai giovani e ai ragazzi, ti diverti e ti appassioni a questo mestiere. Dopo un anno senza lavorare un pochino di nostalgia la sento. È normale”.

Il calcio lo segue?

“Sempre. La Roma quando posso, ma pure il campionato in generale. E la Nazionale”.

Lei è stato anche preparatore dei portieri azzurri nello staff di Ventura. C’è appena stato il sorteggio in vista del Mondiale.

“Non fortunatissimo, a dire il vero, con il possibile accoppiamento con il Portogallo. Ma possiamo superare il turno. Per giocare il Mondiale serve pure passare da test difficili. Peccato aver sciupato le due occasioni ghiotte con la Svizzera, con i rigori sbagliati. Ma guardiamo avanti”.

A proposito di rigori parati, un preparatore dei portieri quanto incide in questo senso?

“Oggi abbastanza, con tutti i mezzi informatici a disposizione per preparare al meglio il portiere su come gli avversari tirano e le varie caratteristiche dei giocatori. Quando giocavo, invece, era molto più difficile reperire informazioni. Avevamo dei filmati, ci segnavamo su carta e penna quante volte quel calciatore tirava da un lato piuttosto che da un altro e in base a quello, stilavamo una sorta di statistica fatta in casa”.

Tancredi raccontò di aver fatto proprio così prima della finale di Coppa Italia del 1980, in cui di rigori ne parò tre contribuendo alla vittoria finale.

“Era questo il modo. Un metodo che a volte funzionava, a volte meno. Citare Tancredi mi fa pensare alla Roma. A quel periodo lì. Per me fu bellissimo. Mi sono tolto grandissime soddisfazioni con quella maglia. Ho vinto una Coppa Italia nel 1991, esordito in Coppa UEFA, poi quella finale che avremmo tanto meritato di vincere”.

Non le è andata giù, pare di capire.

“No, assolutamente. Perdemmo a Milano con l’Inter 2-0, subendo un rigore diciamo discutibile, che oggi con il Var non verrebbe mai assegnato. Al ritorno giocammo una partita meravigliosa, ma non bastò per ribaltare il risultato. Segnammo con Rizzitelli troppo tardi. Peccato. Ce la meritavamo dopo aver battuto squadre fortissime con Benfica, Anderlecht, Valencia, lo stesso Broendby. Per me sarebbe stata una soddisfazione enorme, a quell’età”.

Chi la portò nella Capitale?

“Il direttore sportivo di allora, “Ciccio” Mascetti, che si sentì con il mio procuratore, Dario Canovi. Cercavano un portiere di riserva e pensarono a me, che giocavo a Pescara. Ovviamente accettai subito e giocai anche di più di quello che mi potevo aspettare. Una trentina di partite”.

30 partite in Serie A, 44 contando anche le altre competizioni. Non poche.

“Vero. Ed è stato un autentico orgoglio aver vestito questa maglia. In un periodo così particolare, con la scomparsa del presidente Viola”.

Nell’archivio fotografico del Club è presente una foto in cui lei è tra Nela e Giannini, portando a spalla il feretro del presidente scomparso. Se lo ricorda quel giorno?

“Sì, ricordo tutto bene. La morte di Viola fu una pugnalata al cuore. Amava veramente la Roma. La sua Roma. Era il papà di tutti noi. La Roma era una sua figlia. Eravamo il resto dei fratelli che componevano questa famiglia. Perdevamo un grandissimo punto di riferimento”.

Con gli allenatori dell’epoca, Ottavio Bianchi e Vujadin Boskov, il rapporto com’era?

“Con Ottavio Bianchi ci incontriamo ancora oggi in alcune occasioni tra eventi o partite di golf. Abbiamo un buon rapporto, come ce l’avevo anche con Boskov. Due caratteri diversi, ebbero il merito di isolare la squadra da difficoltà extracampo. Anche Boskov ci portò a giocare una finale”.

Quella di Coppa Italia del 1993. Che lei e Cervone non poteste disputare per una contemporanea squalifica.

“Ancora oggi mi chiedo il motivo di quella squalifica. Non ho mancato mai di rispetto mai a nessuno in campo. Lo ha detto anche lo stesso Giovanni Cervone in un’intervista recente, di quanto fossi equilibrato e rispettoso durante le partite”.

Della Roma di oggi che opinione si è fatto?

“Quando lessi la notizia di Mourinho alla Roma rimasi impressionato dalla portata e dall’importanza della stessa. E la cosa mi ha sorpreso molto. Secondo me potrebbe essere l’inizio di una nuova era. Non si può volere tutto e subito. Per costruire una squadra forte, che possa vincere. Ci vuole pazienza. Bisogna aiutare i giocatori nella crescita, accompagnarli. Posso fare un esempio vissuto sulla mia pelle, anche se in proporzioni diverse”.

Prego.

“Al Torino, da preparatore dei portieri. Arrivammo con Ventura nel 2011 che la squadra era in Serie B. Vincemmo il campionato e da lì ponemmo le basi per il Torino in pianta stabile in Serie A. Con una partecipazione di livello anche in Europa League dove vincemmo partite prestigiose, andando abbastanza avanti nel percorso. Venne costruita una squadra con giovani di grandissimo valore, che poi con il tempo sono diventati calciatori affermati, come Belotti, Immobile, Darmian e Maksimovic”.

“Tempo”, una parola ripetuta a più riprese da Mourinho stesso in varie esternazioni pubbliche, a iniziare dalla conferenza stampa di presentazione.

“Ha ragione. E lui ha l’esperienza, il carisma, per portare la squadra a grandi livelli come già detto e vincere l’ennesima sfida della sua carriera. La Roma è stato un capitolo bellissimo della mia carriera. Ah, una cosa: portate i saluti a Bruno Conti da parte mia, dal grande Zino”.