Non memorabile (persa 2-1 all’andata, ma poi ribaltata al ritorno 3-0), ma tant’è. Conta esserci stati. Con una particolarità: aver vissuto le sue due apparizioni accompagnato idealmente da Daniele De Rossi, nelle sue due presenze successive al debutto con l’Anderlecht.
Pochi lo ricordano: in quella stessa stagione, Daniele disputò anche 3 gare di Coppa Italia. In due di queste c’era Cejas in campo.
Quella di Piacenza, peraltro, ha una particolarità, De Rossi gioca nello stesso stadio in cui nel gennaio 2003 avrebbe fatto l’esordio in campionato.
“Me lo ricordo bene, Daniele lo chiamavo “Ciccio”, gli volevo bene. Sono rimasto legatissimo a questi due colori. Quando tocchi la Roma, non la dimentichi mai”, le parole nostalgiche di Cejas in un’intervista rilasciata al Match Program della Roma nel 2019.
Estremo difensore argentino, classe 1975, arrivato nella Capitale quasi nel silenzio generale. A sorpresa. Nell’estate 2001, quando Roma era vestita di giallorosso in tanti angoli della città per lo scudetto conquistato il 17 giugno precedente.
Come nacque il trasferimento alla Roma?
“Fu tutto molto veloce. Io ero tesserato per il Newell’s Old Boys, ma la società era in difficoltà economica e non mi potevano pagare lo stipendio. Io ero un giocatore già affermato, avevo diversi campionati alle spalle in Argentina. Così diventai titolare del mio cartellino, pronto per accasarmi in un altro club. Ebbi un paio di proposte dall’Italia, una di queste era quella della Roma”.
E l’altra?
“Dell’Udinese, che mi cercò con insistenza. Ma non ebbi dubbio alcuno, scelsi la Roma. Aveva vinto lo Scudetto e avrebbe fatto la Champions. La dirigenza di allora cercava un portiere di esperienza da affiancare a Pelizzoli e Antonioli. Anche perché si ipotizzava che lo stesso Antonioli potesse andare al Barcellona”.
Al Barcellona?
“Sì, mi parlarono di questa trattativa. Ma non andò in porto e io ebbi pochissimo spazio a Roma. Tanto che a gennaio me ne andai al Siena, in Serie B, per affermarmi e dimostrare di poter giocare in Italia. Ci riuscii”.
Giocò solo in Coppa Italia, contro il Piacenza e il Brescia.
“Esattamente. Ma sarò sempre grato alla Roma, mi ha aperto le porte dell’Italia e del calcio italiano”.
Cosa le è rimasto impresso dell’esperienza in giallorosso?
“Beh, Roma è una piazza affascinante, ma anche complicata. Non è facile parare a Roma. Non è facile nemmeno per un portiere titolare di una nazionale importante. Però i tifosi sono unici, per tanti motivi”.
Uno di questi motivi?
“Per il fatto di essere informatissimi sulla squadra. Conoscono bene tutti i giocatori, pure quelli meno esposti mediaticamente. Io ero uno di quelli, eppure fuori dai cancelli di Trigoria mi fermavano sempre. C’è pure chi ti segue fino a casa per starti vicino e farti sentire il suo appoggio. Solo a Roma ho trovato tanto amore per una squadra di calcio”.
Che ricordi ha di Totti e De Rossi?
“Me li ricordo bene entrambi. Francesco era già il capitano e un giocatore fortissimo. Non lo devo dire io. Daniele lo chiamavo “Ciccio”. In quella stagione era a metà tra la Primavera e la prima squadra. Lui esordì in Champions League contro l’Anderlecht. Ma poi una decina di giorni dopo entrò pure a Piacenza, in Coppa Italia, nella stessa partita che giocai io. Entrambi, subentrammo. E poi – sempre noi due – iniziammo dal primo minuto con il Brescia all’Olimpico, nel turno successivo di Coppa Italia. È stato un onore aver condiviso lo spogliatoio con loro, ma pure con tanti altri campioni”.
All’epoca, c’erano anche i suoi connazionali Batistuta, Samuel, Balbo e Cufrè.
“Pensi che furono Bati e Abel a segnalarmi ai dirigenti della Roma. Mi conoscevano avendomi visto giocare in Argentina. Nacque tutto così”.
Capello che tipo era?
“Un tecnico vincente, rigoroso, molto serio. Non l’ho avuto tanto, ma ho ottimi ricordi. Così come dell’allenatore dei portieri che era presente nello staff tecnico, Roberto Negrisolo”.
Nel 2005, invece, affrontò la Roma in quel quarto di finale di Coppa Italia al Franchi, Fiorentina-Roma deciso ai rigori.
“Era la prima volta che me la ritrovavo davanti. Una sensazione particolare. Vinse la Roma, ma io feci una grande partita con diversi salvataggi. Parai un rigore a Cassano e ne segnai uno a Curci”.
In effetti, lei quando mise piede nella Capitale si portò dietro anche questa nomea, quella di essere un portiere segna rigori. Alla Chilavert o come altri estremi difensori sudamericani. Per questo la soprannominavano “Terremoto”?
“No, “Terremoto” è un soprannome che mi porto fin da piccolo. Mi ci chiamava mio zio, dato che io ero un bambino piuttosto vivace. Diceva sempre che dove passavo io, la terra tremava”.
"Quando tocchi la Roma, non la dimentichi mai"
- Sebastian Cejas
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