A cominciare da Fabio Capello, che diventò tecnico giallorosso nell’estate del 1999. Anni che videro affermarsi l’Udinese di Zaccheroni (terza nel campionato 1997-1998) e il Milan guidato dallo stesso mister romagnolo, campione d’Italia nel 1998-1999 ai danni della Lazio. La novità tattica sostanziale di “Zac” era proprio la difesa a tre, che portò risultati innegabili. Valerio Bertotto, Alessandro Calori e Alessandro Pierini i tre “tipo” all’Udinese. Luigi Sala, Alessandro “Billy” Costacurta, Paolo Maldini il terzetto difensivo del Milan.
Capello mutuò il modulo sulla sua prima Roma, che poteva disporre di due centrali di ruolo affermati come Aldair Nascimento Santos e Antonio Carlos Zago, ai quali fu poi aggiunto un difensore d’esperienza e di rendimento come Amedeo Mangone. In realtà, l’idea iniziale dei dirigenti della Roma era di affiancare un talento rampante e di sicuro avvenire.
E il giocatore individuato era stato l’inglese Rio Ferdinand, allora al West Ham, ma alla fine l’affare non andò in portò e il presidente Sensi decise di chiudere con il Bologna per Mangone, puntando sull’usato sicuro, considerando che l’anno successivo avrebbe fatto parte della rosa Walter Adrian Samuel, preso dal Boca Juniors a 21 anni, nella primavera del 1999.
E fu proprio l’argentino, insieme a Jonathan Zebina e Zago, uno dei segreti dello scudetto del 2001.
Titolo che fu vinto con la difesa a tre. Anche se il progetto di Capello – nell’estate del 2000 – era di tornare con la linea a quattro per sfruttare al meglio le caratteristiche di un centrocampista come Emerson Ferreira da Rosa, posizionandolo in regia davanti alla retroguardia.
Il proposito dovette presto essere accantonato per via dell’infortunio al crociato del ginocchio del brasiliano in agosto. “Dopo aver sperimentato quattro uomini dietro in alcune amichevoli estive, torneremo a tre per mantenere più equilibrio, soprattutto con l’infortunio di Emerson, che lo costringerà fuori per molti mesi”, le parole dell’allenatore di Pieris datate ormai di venti anni.
Scelta conservativa, ma vincente. Considerando che sugli esterni riuscì a sfruttare due fuoriclasse come Marcos Cafu e Vincent Candela.
Stessa intuizione fu applicata anche da Luigi Delneri in alcune partite della stagione 2004-2005, nonostante fosse un fiero e ferreo rappresentante del 4-4-2 in stile Arrigo Sacchi al Milan. Due terzini di spinta e due esterni altrettanto abili in fase offensiva. Ma “capitai a Roma nel momento sbagliato”, per sua stessa ammissione.
Nell’anno tormentato dei cinque allenatori e della salvezza conquistata alla penultima giornata. Il friulano di Aquileia cercò una via maestra per salvare il salvabile, ma l’obiettivo gli riuscì solo in parte. Si mise a tre dietro in 12 occasioni su 31 partite totali, raccogliendo 5 vittorie, 3 pareggi e 4 sconfitte. In ogni caso, quelli ottenuti con Delneri si rivelarono punti fondamentali per evitare la retrocessione.
Dopo i quattro anni “e un pezzettino di Luciano Spalletti” tra il 2005 e il 2009, Claudio Ranieri dal 2009 al 2011, Vincenzo Montella nel 2011, Luis Enrique nel 2011-2012, annate vissute giocando praticamente sempre con quattro difensori, si arriva al 2012-2013.
Al ritorno di Zdenek Zeman. Il boemo, profeta del suo 4-3-3 indiscutibile, insindacabile e irremovibile, per una notte decise di cambiare. Il 16 gennaio 2013 a Firenze, contro la Fiorentina, per un quarto di finale di ritorno di Coppa Italia. Marquinhos, Leandro Castan e Nico Burdisso, supportati dagli esterni sulle fasce da Ivan Piris e Federico Balzaretti.
E vinse. Di misura (1-0), ma qualificando la Roma al turno successivo. “La difesa a tre? Eravamo in emergenza. L’avevo già fatta in passato, ma io preferisco fare il mio calcio”.
A proposito di ritorni, da segnalare anche il caso di Spalletti nel gennaio 2016. Si affidò alla difesa a tre nelle prime uscite (Juventus, Frosinone e Sassuolo) e ricorse allo stesso sistema anche nella stagione successiva in alcune occasioni. In tutto – tra campionato e coppe – furono 21 partite, corredate da 17 vittorie.
L’assetto fu dettato da due motivi. All’inizio fu un’esigenza di restituire certezze ad un gruppo sfiduciato. Per il resto fu anche una libera interpretazione della difesa praticata da Paulo Sousa alla Fiorentina nella stagione 2015-2016, con Federico Bernardeschi esterno a tutta fascia. “Vivendo vicino Firenze, spesso sono andato a vedere gli allenamenti della Fiorentina”.
Il Bernardeschi della Roma, in questo caso, fu Stephan El Shaarawy. Ma Spalletti non amava che sugli organi di informazione il suo sistema venisse definito con una “difesa a tre e mezzo”. “O è a tre di partenza o a quattro, quella del tre e mezzo fu una mia esemplificazione in conferenza stampa”, diceva spesso ai suoi collaboratori.
Merita un capitolo anche la notte del 10 aprile 2018. Sinonimo di Roma-Barcellona, ritorno dei quarti di finale di Champions League. 3-0 il risultato, pass per la semifinale. Ma tre fu anche il numero magico della difesa. Mai schierata fino a quel momento dal tecnico Eusebio Di Francesco, proposta per la notte del secolo. Fazio, Kostas Manolas e Juan Jesus gli uomini scelti.
Andò talmente bene che venne riproposta anche in Liverpool-Roma semifinale di andata di UCL. Ma in questo caso la strategia non fu vincente (5-2 finale per gli inglesi) e la finale sfuggì per diversi dettagli. Non solo quelli tattici.
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