La modernità di quella squadra mitica e dello stile del suo capitano stupiscono ancora oggi. Non si può non rimanere impressionati dalla tecnica di Agostino, dalla sua visione di gioco e dalle sue conoscenze tattiche; da tante intuizioni meravigliose che continuano a farci innamorare e che riguardiamo, in piccola parte, nel giorno in cui sono passati 65 anni dalla sua nascita.
Il suo destro potente e secco era un capolavoro di coordinazione. Di Bartolomei sapeva scegliere il tempo giusto per andare sulla palla e calciare sfruttando tutta la forza possibile.
E anche quando l'azione non lo favoriva, come nel caso di questo gol, segnato nella partita vinta per 2-0 in casa del Torino l'1 marzo 1981, Agostino dimostrava un controllo del corpo tale da riuscire a riposizionarsi rapidamente.
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Questa rete ha una difficoltà elevatissima: Di Bartolomei viene preso in controtempo da una deviazione di un compagno mentre sta per entrare in area, ma con una sterzata riesce a ritrovare l'equilibrio aiutandosi con le braccia larghe e a calciare di destro, forse con la parte esterna del collo anche se dall’inquadratura non è chiarissimo: il suo colpo è tagliato, la traiettoria della palla ha uno strano effetto. Il portiere del Toro, Terraneo, non può intervenire, ma solo guardare il pallone sbattere sul secondo palo ed entrare in porta.
Tecnica, intuito e applicazione in allenamento, provando e riprovando il tiro con costanza. "È importante quando si vuole scaricare tutta la potenza mantenere il corpo, soprattutto il torace, sopra la palla; non esageratamente, per far sì che il pallone non vada troppo verso l'alto e rimanga sempre a terra. Si tratta di un tiro molto forte che deve rimanere, per essere efficace, nell'altezza della porta; quindi diciamo che per avere una certa efficacia deve viaggiare o rasoterra o a 1-1,80 metri; è quindi importante dare questa impostazione con la parte superiore del corpo che viene un pochino sopra la palla. Quando si è calciato si deve sempre accompagnare la palla, in modo particolare quando si calcia di collo, e dare maggior slancio possibile alla gamba”, si legge nel suo "Il manuale del calcio” (Fandango libri), quando descrive il modo di calciare la palla di collo piede. Ma sapeva sfruttare anche l'esterno, come in questa punizione in Roma-Genoa del 2 gennaio 1983, un colpo di una bellezza rara.
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Punizione di seconda sul lato sinistro: Conti tocca per il capitano della Roma che, dopo una rincorsa breve, colpisce di collo esterno e mette la palla sul palo del portiere con una traiettoria a uscire che sorprende Martina, portiere genoano. Guardate la gamba destra dopo la conclusione: accompagna il pallone per assicurare maggiore controllo al tiro e sembra quasi restare sospesa per qualche istante.
C'è una qualità di Di Bartolomei, in particolare, che lo rendeva un giocatore fondamentale per un innovatore come Liedholm: sapeva sempre orientarsi e posizionarsi nel modo migliore per collaborare con i compagni, lavorare sul mantenimento del possesso con il suo gioco corto che perfezionò proprio sotto la guida del Barone. Agostino era una figura centrale nella costruzione della “ragnatela” di passaggi tipica della Roma.
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E quella capacità di associarsi ai compagni era una risorsa preziosa anche nella fase conclusiva dell'azione. Come nel caso di questo gol stupendo al Perugia (Roma-Perugia 5-0, 3 maggio 1981).
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Triangolo con Falcão, finta al portiere in uscita e comodo tocco a porta ormai vuota: tutto facile per campioni come loro. Fate caso al controllo del numero dieci della Roma da quando parte fino al dribbling decisivo: la palla resta costantemente attaccata al piede.
Di Bartolomei non era velocissimo nella corsa, ma intuiva lo sviluppo dell'azione prima degli altri. Poi aveva la visione e un lancio potente e preciso con il quale poteva cambiare gioco al momento di giusto, per attaccare la zona di campo lasciata libera dall'avversario in precedenza attirato verso un lato.
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La straordinaria intelligenza tattica consentì ad Agostino di interpretare il ruolo del centrocampista in tanti modi, dall’incursore al regista, ma soprattutto lo aiutò a vincere la sfida tecnica più difficile: fare bene anche in difesa, come libero, nell'anno del secondo scudetto. Dopo un periodo di adattamento certamente non facile, Di Bartolomei riuscì a proporre con ottimi risultati una sua versione del ruolo, dimostrando anche capacità difensive sorprendenti.
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Il libero Di Bartolomei era l’uomo della costruzione, il playmaker basso che aveva la licenza di muoversi tra le linee per creare gioco e dialogare con l’altro centro creativo della squadra, Falcão. «Voglio creare un tipo di libero adatto alla mia personalità. Non sono un difensore, e quindi parto con la convinzione di poter creare gioco, aiutare i compagni nella costruzione, e ripiegare soltanto in caso di necessità. Intendo essere un libero che crea, non che distrugge», sono le sue parole riportate nell'edizione del 23 ottobre 1982 de "La Stampa”.
Di Bartolomei è stato il leader di una squadra che accettava i rischi con coraggio, che gestiva lo spazio con un approccio nuovo per il nostro calcio, per esempio attraverso l’applicazione sistematica della tattica del fuorigioco.
Una Roma che praticò con successo la difesa a zona, che cambiava prospettive e riferimenti: dalla rigidità delle marcature a uomo e del gioco all’italiana a un sistema in cui diventava fondamentale considerare tempo, spazio, posizione degli avversari e dei propri giocatori. Quella squadra dimostrò che si poteva vincere anche trovando altre strade.
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