Il capitano giallorosso si è soffermato sugli episodi chiave della sua vita, sui suoi più bei ricordi in giallorosso ma anche sui momenti negativi e quelli in cui avrebbe potuto lasciare la Roma, superati grazie al suo carattere e al suo amore per la sua famiglia, per il Club e per la Città.
Ecco il testo dell’intervista.
Francesco, il tuo primo ricordo da bambino?
“Il primo ricordo è sotto casa, davanti scuola: c’era un parco grande dove si poteva giocare con amici di scuola e cugini. Quello è il primo ricordo di un pallone, il primo ricordo di calcio”.
Quanti anni avevi?
“Forse cinque o sei”
La tua stanza com’era?
“Tappezzata di giallo e rosso. Era una stanza della Roma. C’era un grande poster del mio idolo di allora, Peppe Giannini in camera. Avevo sciarpe e magliette ovunque. Era tutta gialla e rossa, come una curva”.
Come andavi a scuola?
“A piedi (ride, ndr). Ce l’avevo di fronte casa. Facevo la mia figura dai. Un 6 perfetto, né più né meno, che se no si esagerava”.
Quanto tempo dedicavi al calcio?
“Tanto, avevo un piano perfetto: uscivo di scuola e dall’una e mezza alle due massimo studiavo. Ma poi appena sentivo il rumore del pallone dei miei amici sotto casa, dicevo a mama che avevo studiato tutto e scendevo. Restavo dalle due fino alle sette e mezzo-otto, tutti i giorni, tutto l’anno”.
Dalla strada alla Roma come ci sei arrivato?
“Ho avuto un percorso giusto. Ho giocato prima sotto casa, alla Fortitudo, poi tre anni alla Smit Trastevere. Con quella squadra di rione, un giorno disputammo un’amichevole con la Roma. Non giocai, non mi fecero entrare perché ero più piccolo rispetto agli altri. Però mi misi a palleggiare da solo a bordo campo. C’era Ermenegildo Giannini alla Roma in quel periodo. Mi guardò e mi prese senza che giocassi”.
Un genio.
“Era intelligente, uno che capiva di calcio”.
E quindi ti disse vieni a giocare alla Roma?
“Sì, poi arrivò una lettera dove mi volevano portare alla Roma. Invece poi andai alla Lodigiani per tre anni fino ad 11 anni, a 12 tornai alla Roma”.
Ma da bambino eri già così forte?
“Ero bravino. Ero piccolo, ero magro magro. Avevano paura non crescessi. Perché ero veramente un tappo, mi chiamavano gnomo. Ero basso, secco e invece poi passando il tempo sono cresciuto. E fortunatamente sono diventato così”.
Ci sono le immagini della tua partita con Nesta da bambino. Ti ricordi quella partita?
“Sì, con Alessandro ci siamo incontrati da quando avevo 12 anni perché abbiamo fatto tutta la trafila con le giovanili, io con la Roma e lui con la Lazio. Eravamo già amici nemici, come si dice. In quella partita ci trovavamo a Primavalle se non ricordo male, era una finale, Lodigiani-Lazio. Vincemmo 1-0 con un mio tiro su punizione. Però loro erano forti, c’era Di Vaio, c’era Nesta, giocatori che poi hanno fatto la Serie A”.
Cristian ha più o meno l’età che avevi tu. E io ricordo che una volta venisti in Campidoglio con lui. Adocchiò una palletta sul mio tavolo e tu mi dicesti “sto ragazzino come vede una palla perde la testa, chissà come mai…”. Come è adesso Cristian? È forte?
“È bravino, migliorato. Prima era più giocherellone, pensava solo a divertirsi. Oh ancora si diverte un sacco, io lo so come vive le giornate. Mi sembra di rivedere me stesso. Adesso ci sta mettendo più voglia, più passione, gli piace. Va ad allenarsi, va a giocare con più continuità, vedo che gli piace. È forte, ma mica come il padre quando era piccolo...”.
Vorresti che facesse il calciatore?
“Da una parte sì e da una parte no. Sì perché se ha questa voglia e questa passione è giusto che faccia quello che sente. Però dall’altra, con il cognome che si ritrova, non è semplice. Già adesso va a fare i tornei con gli amici a Sabaudia o da altre parti, fa quindici gol e per questo lo premiano come miglior giocatore. Allora tutti dicono “Eh sì, lo premiano perché è il figlio di Totti…”. Non contano i quindici gol del bambino, conta il cognome del padre. Mi dà fastidio, perché poi quando si parla di bambini, veramente, si deve parlare sempre in maniera positiva, cioè non essere gelosi o pensare sempre al male di tutto. Un bambino si diverte a correre a tirare. Se ha la fortuna o la sfortuna di chiamarsi Totti non è mica colpa sua”.
Il figlio di Zidane gioca nel Real Madrid.
“Perché è il figlio di Zidane?”
Se non fosse forte non giocherebbe.
“Come Maldini”.
Senti, Roma. Cos’è Roma per te?
“Tutto, tutto. La città e la squadra. Tutto. Roma città, non perché sono romano, ma la reputo la più bella del mondo. È mare, montagna, monumenti, sole. Ha la passione dei romani. E poi la Roma nel calcio. Ho sempre tifato per questa squadra. Quei colori erano nella mia stanza e nei miei sogni fina da piccolo. Io ho indossato per venticinque anni questa maglia, l’unica che abbia avuto. Porto la fascia da capitano. Cosa dovrei volere di più dalla vita?”.
Del carattere dei romani cosa ti piace di più?
“Dei romani apprezzo la sfrontatezza, la sincerità, il sorriso e la passione in quello che fanno”.
Ti è sempre piaciuto prendere per i fondelli il prossimo, che è una cosa tipica dei romani. Chi hai preso più in giro tra i compagni?
“Uno solo? Ne ho risparmiati pochi. Diciamo un po’ tutti. Chi viene qui a Roma e non conosce i romani, prima che capiscano le battute ci passa un campionato. Candela è quello con cui mi sono trovato più a mio agio, lui è francese, ma un francese della Garbatella [romano]. È diventato romano doc, è intelligente, furbo, riusciva a capire subito le mie battute”.
Hai raccontato in occasione dei tuoi 40 anni che ad un certo punto sei stato indeciso di andare al Real Madrid.
“Era il 2003. C’era un momento particolare tra me e la società, alcune cose non andavano nel verso giusto. Avevo fatto alcune richieste specifiche e non è che volessero accontentarmi ma volevano fare più di testa loro. Il Real Madrid spingeva a tutti i costi per farmi andare lì da loro. Era l’unica squadra al mondo per la quale a malincuore avrei potuto cambiare maglia. Ci pensai seriamente. Alla fine la famiglia, gli amici, mia moglie, fortunatamente mi hanno aiutato a rimanere alla Roma. E considero sia stata una fortuna”.
Tu non ce l’avresti fatta ad andare via da Roma?
“Adesso dico di no, però a quel momento ero abbastanza deciso. Non andavi in una squadra normale ma in quella più forte del mondo”.
Me lo ricordo da testimone, proprio in quegli anni decidesti di dare una mano a salvare la Roma.
“Sì, non tutti lo sanno, è stata una mia scelta, volevo aiutare la famiglia Sensi che ha fatto tanto per la Roma. Non mi vergogno di niente, anzi sono stato contento che non se ne sia parlato tanto. L’ho fatto per la squadra, per questi colori che ho sempre amato e per i Sensi perché mi hanno sempre trattato come un figlio. Quando c’è rispetto c’è tutto. Ho cercato di ricambiare, per quanto potevo”.
Come immagini il tuo futuro?
“Non so quello che mi riserverà il futuro. So che sarà una cosa piacevole, un’altra vita, un’altra bella carriera. Non so cosa farò sinceramente, però spero di rimanere per sempre nella Roma, questo è il mio desiderio. Mi auguro e voglio aiutare la società in cui ho speso gran parte della mia vita. Sarei davvero felice se potessi essere di aiuto alla Roma”.
Ti piacerebbe allenare?
“Da una parte sì. Ora non ci penso perché conoscendo il mio carattere, forse non saprei gestire un gruppo. Però vedendo i miei ex compagni che appena hanno smesso hanno intrapreso questa carriera da allenatore mi chiedo se scatti qualcosa dopo e quindi forse scatterà anche a me. Cambierò carattere, cambierò modo di impostare tante cose”.
Qual è il momento di tutta la tua vita calcistica in cui sei stato più felice?
“Tolta la vittoria dello Scudetto, che era il mio obiettivo di tutta la vita, forse quest’ultimo periodo. L’ultimo anno è stato brutto, non mi aspettavo tante cose sotto tutti i punti di vista. Però l’orgoglio, la passione, la determinazione, lo spirito, il mio carattere mi hanno aiutato a cambiare tante cose. E ora sto davvero bene e mi sento come quando ero ragazzo. Sono sereno”.
E invece il momento più duro qual è stato?
“Gli infortuni, quelli brutti e inaspettati. Lì capisci davvero la forza dell’uomo. Mi sono rialzato dopo due tre situazioni non semplici. Lì ho capito che ho un gran carattere e una voglia di giocare che non finiva”.
Qual è l’allenatore con cui ti sei trovato meglio in carriera?
“Zeman era quello con cui mi sono trovato meglio di tutti. Anche con gli altri, più o meno. Ma io non ho mai avuto problemi con gli allenatori, perché ho sempre fatto il mio dovere, li ho sempre rispettati e ribadisco: alla Roma non ho mai cacciato un allenatore, non ho mai voluto un allenatore. Ha fatto sempre tutto la società, non ho mai messo bocca su niente. L’unico con cui ho avuto un po’ di problemi è stato Carlos Bianchi. Ero giovane e lui era molto attento ai giocatori romani perché gli piacevano più gli stranieti. Aveva cercato di spingermi verso altri orizzonti”.
Per farti cambiare squadra?
“Sì e ci è mancato pochissimo. Mi ero messo d’accordo con la Sampdoria. Firmai con loro e il giorno dopo ci fu un torneo all’Olimpico con Ajax e Borussia Moenchengladbach. Fu la sera prima che andassi alla Sampdoria. Ma gli Dei di Roma si ribellarono e fu una serata magica. Feci gol sia all’Ajax che al Borussia. All’Ajax c’era un giocatore che Banchi voleva a tutti costi [Litmanen]. Ma dopo la partita Sensi si impuntò e disse: lui da qua non va via. Alla fine saltò tutto con la Samp. Bianchi disse o Totti o me. Sensi disse Totti e da lì è cambiato tutto”.
Con Spalletti che rapporto hai?
“Ho un buon rapporto, rapporto va oltre il calcio. È una bella persona, ha i propri valori. Una persona che per me ha fatto tanto, che vuole vincere. Un allenatore che ha una cultura calcistica superiore alla media. La Roma ha fatto un grande investimento nel riprenderlo”.
Due cose che sono cambiate nel calcio: la prima ti sembra ci sia più fisicità e meno tecnica?
“Sì, direi purtroppo, dal mio punto di vista. Se stai bene fisicamente riesci a fare tante cose. Però se non hai la tecnica non puoi farle. Alla fine la testa è la cosa più importante di tutte. Se stai bene di testa puoi fare tutto”.
La seconda è che gli stadi sono quasi vuoti. Hai iniziato in stadi sempre pieni, oggi tranne qualche eccezione sono vuoti.
Vedere lo stadio della Roma vuoto ti mette angoscia. Senti le voci, sente le urla delle persone, ma ero abituato a giocare con 40-50 mila persone ed ora è diverso. Per la squadra è diverso, c’è più voglia quando ti incitano, diventa difficile anche per gli avversari venire all’Olimpico e sentire questa gente che ti sta sul collo, ti mette pressione. Spero che si possa risolvere questo problema della Curva. Non so da cosa dipenda, però basta. Basta con queste barriere. È il momento di trovare una soluzione: levassero queste barriere, abbiamo bisogno della nostra gente. Con loro è tutta un‘altra cosa. Chi sbaglia deve pagare individualmente, come è giusto che sia. Solo a Roma c’è questo problema, ma Roma è una città come le altre. Vogliamo la gente appassionata che venga a tifare la Roma e ci aiuti a condividere sensazioni e gioie. Vorrei sentirli di nuovo vicini, vorrei che in attesa di trovare una soluzione intanto tornassero. Su questo tema dobbiamo essere tutti uniti, società, squadra e tifosi”.
Spero che si possa risolvere questo problema della Curva. Vorrei sentire i tifosi di nuovo vicini, vorrei che in attesa di trovare una soluzione intanto tornassero. Su questo tema dobbiamo essere tutti uniti, società, squadra e tifosi
- Francesco Totti
C’è un giocatore della Lazio del quale sei stato amico?
“Nesta e Di Vaio sono stato amico. Siamo cresciuti insieme anche se su due sponde differenti. Abbiamo un bella amicizia”.
Quanto conta per te la tua Famiglia?
“Conta il 100%. Senza la famiglia non riesci a capire quello che realmente hai ottenuto. E senza famiglia tutto è più difficile. Più cresci e più apprezzi i valori che ti hanno proposto”.
Qual è il Gol più bello che hai fatto?
“Sono due i miei preferiti, sono indeciso. C’è quello a Milano a pallonetto a Julio Cesar oppure quello al Marassi di sinistro contro la Sampdoria. Poi uno è destro e uno di sinistro”.
Pensi anche tu come Sarri che il campionato sia finito?
“Il campionato non è finito ma la Juve è di un’altra categoria. Si vede perché negli ultimi 5 anni hanno dimostrato questo. Cercheremo di darle filo da torcere fino alla fine ma sappiamo che non è semplice. Siamo coerenti con noi stessi e con la gente che ci viene a vedere. Loro sono i più forti, noi siamo in seconda fascia. Ma non molliamo”.
Qual è il difensore più cattivo che hai incontrato?
“Montero. Dal punto di vista umano non lo conosco ma me ne hanno parlato benissimo. Era un cagnaccio, un cane che mozzicava ovunque. Entrava duro, però fa parte del calcio”
C’è un angolo di Roma che preferisci?
“Io preferisco tutto di Roma. Anche perché tanti angoli non li ho ancora scoperti. Spero più avanti di poterle vedere. Ogni angolo ha la sua bellezza. E voglio tornare a via Vetulonia. Ho tanti ricordi belli, sono cresciuto là, ho iniziato con i primi calci e ho conosciuto tanti amici. Prima o poi andrò a salutarli tutti”.
Cosa ne pensi dell’Informazione dei giornalisti?
“Alcune volte esagerano. L’importante è scrivere le cose vere, non quelle senza senso. Scrivere tanto per scrivere non è giusto”.
Tu sei una persona felice?
“Molto”.