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Una partita in giallorosso 90 anni fa: la storia di Alfredo Welby


A dispetto del risultato finale, che vedrà vincere i bianconeri per 2-1, nonostante l’illusorio vantaggio di Fasanelli. Dieci romani su undici, in ogni caso, non era un inedito in senso assoluto. Qualche giorno prima, il 29 maggio, i giallorossi battono il Modena a Campo Testaccio per 4-2, sempre con dieci calciatori nati nel territorio della Capitale. La formazione dal primo minuto è composta da Ballante, Mattei, De Micheli, Degni, Ferraris IV, Bossi, Benatti, Fasanelli, Bernardini, Preti, Eusebio. Benatti è l’unico a esulare dal contesto, essendo di Mirandola, in provincia di Modena.

La scelta è del tecnico inglese, che sul finale di stagione – con una posizione di classifica già ipotecata, nel primo campionato di Serie A della storia del calcio italiano – decide di premiare alcuni ragazzi del vivaio, dovendo avere a che fare pure con alcuni infortuni. Stessa scelta che opera a Torino, allo stadio Corso Marsiglia.

Altri dieci romani dall’inizio, stavolta con una variazione rispetto alla volta precedente. Ballanti in porta, poi Mattei, De Micheli, Degni, Ferraris IV, Welby, Benatti, Fasanelli, Bernardini, Preti, Eusebio. Benatti rappresenta di nuovo l’eccezione ai romani, mentre la sostanziale differenza riguarda una presenza a centrocampo: gioca Welby e non Bossi.

Welby, 20 anni compiuti a febbraio, fa di nome Alfredo e di mestiere è un mediano di stazza. Viene soprannominato “Carnera” proprio per il fisico imponente che lo contraddistingue. Altri lo chiamano “Alfredino”, ma solo per ironizzare sull’aspetto. È grande e grosso, Alfredo, altro che “ino”. Ma è leale con gli avversari, sempre. Nonostante il cognome tradisca richiami anglosassoni (papà scozzese), lui nasce e cresce a Roma.

Nel 1925-26, all’età di quindici anni fa parte dei Boys del Roman. Nel 1927, una volta superata le selezioni, entra nei ranghi della neonata Associazione Sportiva, nelle rappresentative giovanili. William Garbutt lo trasforma da terzino a centromediano, ma Burgess è il manager ad apprezzarlo di più. Lo racconterà a distanza di oltre sessant’anni a Massimo Izzi e il virgolettato è riportato nel libro edito da Newton Compton, “L’AS Roma dalla A alla Z”. “(…) Burgess era proprio terra terra, però aveva una grande simpatia per me e mi chiamava 'Omo nero'”.

Dopo la partita di Torino, pur non demeritando nei novanta minuti, Welby non replicherà altre apparizioni in gare ufficiali. Resta nei ranghi della Roma fino al luglio del 1931, quando viene messo in lista di trasferimento. Successivamente, militerà nella Reggina e nel Cosenza per poi approdare nel 1936 alla Mater in Serie C e concludere lì la carriera nel ‘38. Quest’ultima, la Mater, è la squadra dell’azienda per cui Welby presta l’attività lavorativa. Chiude con il calcio, ma la vita va avanti. Decide di risiedere nella zona della Tuscolana, all’altezza del Quadraro.

Sono anni difficili per il paese, quelli. In Italia vige la dittatura fascista e di lì a poco Mussolini annuncerà l’adesione alla seconda guerra mondiale (1940), fino ad arrivare all’occupazione nazi-fascista di Roma tra il settembre 1943 e il giugno 1944. Proprio al Quadraro cresce uno dei moti meglio organizzati di resistenza romana. Un’attività che non passa inosservata agli occupanti, tanto che gli stessi decidono di pianificare il terzo rastrellamento nella capitale.

Prima del Quadraro, ci furono altri due episodi: uno portò all’arresto di 2000 carabinieri che vennero accusati di essere servi di casa Savoia (7 ottobre 1943). L’altro si verificò nel ghetto ebraico, il 16 ottobre dello stesso anno. Secondo la ricostruzione resa da Pierluigi Amen, con la collaborazione di Aulo Mechelli (funzionario dell’anagrafe capitolina, scomparso di recente a causa del Covid-19), l’azione nazi-fascista al Quadraro prevedeva l’evacuazione e la deportazione dei cittadini romani “dei rioni e sobborghi maggiormente infestati dai comunisti”.

Per cercare di fermare i partigiani del “Nido di Vespe”, soprannome affibbiato al tempo alla borgata, i tedeschi agli ordini di Herber Kappler preparano un’operazione militare passata alla storia con il nome in codice di Unterhemen Walfisch (Operazione Balena). Avviene il 17 aprile 1944. Sono centinaia i deportati. Oltre 700. Si tratta di maschi di età compresa tra i 16 e i 55 anni. Vengono portati prima al Cinema Quadraro per essere identificati e poi negli studi di Cinecittà – ammassati l’un l’altro – dove restano per due giorni prima di cominciare il lungo viaggio. La destinazione prevede prima la cittadina emiliana di Fossoli, poi espatriare verso fabbriche dislocate in Germania, Austria e Polonia. Tra gli arrestati, figura anche Welby.

Alfredo, tuttavia, evita la deportazione a Ratibor, la cittadina della Slesia dove si sarebbe proceduto a smistare le vittime del rastrellamento. Per evitare d’essere inviato in Polonia, indossa il cartellino d’un compagno di camerata che era nel frattempo morto. Nel viaggio in direzione dell’ospedale riesce a fuggire e prima di raggiungere la Capitale, viene ospitato grazie ad una conoscente, in una clinica per non vedenti. Passano circa quattro mesi, torna a Roma il 22 agosto del 1944.

Tra gli altri deportati figura anche un uomo che, di mestiere, è un conducente dei tram siglati STFER (poi STEFER). Il suo nome è Romolo De Sisti e, da un anno, è genitore di un bambino di nome Giancarlo. Che in futuro si farà soprannominare “Picchio” e pure lui come Welby giocherà da centrocampista per la Roma.

Anche Romolo si salva: durante il viaggio verso il campo di lavoro di Fossoli (vicino Modena), salta dal treno e scappa. Girovaga a lungo, per rientrare a casa il 4 maggio del 1944. Welby e (Giancarlo) De Sisti hanno avuto destini diversi nella Roma.

Alfredo ha collezionato quella sola presenza contro la Juventus e, ad oggi, è tra i 63 calciatori della storia romanista ad avere una sola partita giocata. De Sisti ne ha 279 e il suo trascorso ha bisogno di poche presentazioni. E in varie interviste ha più volte raccontato la vicenda di Romolo, omaggiandolo. Da figlio a padre. O viceversa. Tipo Alfredo, che il 26 dicembre 1945 diventa papà di Piergiorgio. Già, proprio lui, Piergiorgio Welby. Ma questa è un’altra storia ancora.