Nato a Soncino, in provincia di Cremona, il 10 settembre 1935, aveva vestito la maglia giallorossa 455 volte.
Celebriamo uno dei capitani più amati della nostra storia con questo ricordo.
Quanta forza può esserci in 165 centimetri? E quanta passione per la Roma può sprigionare un ragazzo nato in provincia di Cremona e cresciuto portando munizioni ai partigiani in bicicletta? La risposta è nella storia di Giacomo Losi, iniziata addirittura giocando sotto falso nome perché era troppo piccolo e proseguita su un treno preso nel 1954 per andare o all’Inter o al Bologna.
Almeno così pensava lui, reduce da un ottimo campionato in Serie C con la Cremonese. Invece a Bologna scoprì che il viaggio sarebbe proseguito fino a Roma. Ce lo accompagnò Giorgio Carpi, l’ex calciatore della Roma di Testaccio che giocava gratis pur di farlo per la Roma e che era stato compagno di squadra in giallorosso di Renato Bodini, cugino del primo allenatore di Losi.
Ed ecco che basta annodare questi fili per capire che niente accade per caso e che il suo destino era quello di diventare una bandiera romanista. Ben 455 partite ufficiali in 15 anni, capitano ed esempio di volontà, serietà, attaccamento alla maglia e professionalità, piccolo di statura ma capace di marcare anche gli attaccanti più grandi, veloce e tecnico, ugualmente stimato da compagni e avversari. Coraggio, senso dell’anticipo, abilità tattica. Terzino, stopper, libero. Nazionale, per 11 volte, convocato anche per i Mondiali del Cile, quando vestire l’azzurro senza essere un giocatore di Milan, Inter o Juve era impossibile. Lui non lo divenne per scelta.
La Juve offrì 300 milioni per il suo cartellino. L’Inter di Herrera lo voleva accanto a Guarnieri. Avrebbe legato il suo nome a una delle squadre più vincenti del calcio italiano, invece ha scelto di legarlo alla Roma. “Mi sentivo legato ai colori giallorossi e il pensiero di andarmene mi recava dolore”. Nel 1969 preferì smettere piuttosto che indossare una maglia che non fosse giallorossa.
Infatti poi giocò un altro anno in Serie D, con i colori giallorossi della Tevere Roma. Segnò solo due gol, entrambi memorabili. Uno al Foggia, nella stagione 1966/1967, con un tiro violentissimo da fuori area. L’altro è una delle pietre miliari della sua carriera: l’8 gennaio 1961, in campo zoppicando e da infortunato, con la Roma già in dieci uomini per l’infortunio di Guarnacci, trovò la forza di staccare di testa e segnare il gol della vittoria contro la Sampdoria.
Il soprannome “Core de Roma” era nato qualche giorno prima, glielo diede Walter Chiari presentandolo in una trasmissione televisiva. Anche se non era romano, il soprannome era azzeccatissimo: Giacomo Losi è stato il cuore di tutti i romanisti ed è nel cuore di tutti i romanisti. Ci sarebbe entrato anche se non ci fosse mai stata quella partita che tutti, ma proprio tutti, citano quando si parla di lui. Aveva indossato la fascia di capitano per la prima volta nel 1959 ed era diventato capitano designato nella stagione 1963/1964, dopo un periodo di alternanza con Guarnacci.
Lo divenne nel periodo del suo esordio in Nazionale, sconfitta contro la Spagna di un Francisco Gento andato in grandissima difficoltà. “Non ho mai visto un terzino così veloce”, disse il fuoriclasse spagnolo parlando di Losi, che si era conquistato anche la stima e l’amicizia di Alfredo Di Stefano. La stima e l’amore dei tifosi romanisti, più che nei momenti belli, si vide in quelli brutti.
Nella stagione 1961/1962 fu tra i migliori in campo in una partita decisiva per la lotta scudetto contro il Milan, ma la Roma perse per un suo autogol. Pochi secondi dopo, spontaneo, dal profondo del cuore di Roma, partirono un applauso e un coro: "Losi! Losi!". Da tutto lo stadio. "Non ho mai sentito la tifoseria della Roma così vicina come in quel momento", ha spesso raccontato lui.
Era abituato a quel coro. Lo sentiva già dalle partite del campionato riserve, dove, prima ancora del suo esordio, la gente andava solo per vederlo giocare.
Anche l'allenatore Jesse Carver lo vedeva e quando ci fu bisogno, non esitò, anche se l'avversario era un'Inter fortissima. "Dove tu passare non crescere erba", gli disse il tecnico. Così fu. Benito Lorenzi si complimentò con il suo giovane avversario. Nel 1967, contro il Vicenza, si infortunò due volte nella stessa azione e salvò due gol. Rimase in campo zoppicando, salvando lo 0-0 e il momentaneo primato in classifica. "Lo stadio esultò come se avessimo vinto lo scudetto".
Un pareggio che valeva come uno scudetto. Come qualche anno prima un pareggio valse la Coppa delle Fiere. Lui salvò il 3-3 della semifinale di ritorno con l'Hibernian. Non poteva giocare nello spareggio perché il giorno prima era sceso in campo con la Nazionale. Ma quando si presentò in ritiro i compagni lo vollero in campo. La Roma vinse la partita e poi la coppa nella finale col Birmingham. Durante il giro di campo non la mollò mai.
Per 299 volte capitano, nel 1964, alzando un altro trofeo, la Coppa Italia, volle il giovane Giancarlo De Sisti accanto a sé. "Core! Lasciane qualcuna anche ai miei!" gli urlò quel giorno Nereo Rocco, che guidava il Torino in quella finale, disperato perché i suoi attaccanti non toccavano palla.
Imparò a fare il capitano da Arcadio Venturi, lo insegnò a Sergio Santarini, ha visto crescere Daniele De Rossi e Francesco Totti, che quando lo ha raggiunto a 386 presenze in Serie A lo ha voluto accanto a sé.
Durante la sua ultima partita, a Verona, fu ammonito. Rarissimo, per un giocatore corretto come lui. L’arbitro si scusò, ma non poteva fare altrimenti. Andavano tutti all’attacco e lui era rimasto solo a difendere la Roma. Voleva solo difenderla un po' di più ma da quel giorno non poté più farlo.
Soffrì, “Core de Roma”, che non uscirà mai dal cuore di tutti i romanisti.
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