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Mourinho: "Dobbiamo avere coraggio e giocare al massimo delle nostre possibilità"


Alla vigilia della sfida di campionato con il Frosinone, mister Mourinho ha risposto così alle domande dei giornalisti in conferenza stampa.

Come deve ripartire la squadra, cosa si aspetta di più dai giocatori per uscire da questo momento piuttosto delicato?

“Vogliamo vincere. Dobbiamo vincere. Non dobbiamo cercare nessun tipo di alibi, nel senso di ritirare la responsabilità di questa partita. Abbiamo avuto tre gare prima della fine del mercato, dove quel punto unico (con la Salernitana, ndr) penso che a tanti giocatori abbia lasciato un peso, per quello che sarebbe arrivato dopo. 

Dopo l’incredibile risultato contro l’Empoli, e anche il successo in Europa League, ho pensato che quel peso fosse andato via dalle spalle della gente, in campo e fuori. 

Non è accaduto così con quel pareggio a Torino. Visto quello che succede principalmente in questa stagione in Serie A, dove delle squadre potenzialmente che non lottano per le posizioni superiori sono capaci di fare risultato contro squadre superiori, quel punto lì, dopo una buona partita, quel punto è diventato negativo. Quando invece in condizioni normali, arrivando a Torino con sette o otto punti, sarebbe stato positivo, perché ottenuto contro un avversario difficile, al termine di una buona partita fatta dalla Roma. E poi a Genova mi aspettavo continuità, e non solo: un miglioramento. E non è successo.

Se vogliamo tornare di nuovo sulla partita, sono accadute tante: siamo entrati male, abbiamo preso gol, abbiamo giocato bene, abbiamo pareggiato, e subito dopo invece di migliorare siamo peggiorati, perché nel momento in cui il calciatore che oggi è più consistente a tutti i livelli gioca da difensore centrale, la squadra è peggiorata (Cristante, ndr). E dopo, con i cambi, con lo sviluppo della partita, la squadra ha fatto ancora peggio: giocando a quattro - i due difensori centrali erano Bryan e Ndicka, che non hanno mai giocato a quattro - la squadra ha perso stabilità. Poi la squadra ha segnato il 2-2, annullato per fuorigioco, e quando sembrava che comunque potesse arrivare il gol del pareggio, è giunta la rete del 3-1 da palla inattiva. 

Quanto al gol del 4-1, come ho già detto era fuori contesto: poteva arrivare anche il quinto o il sesto - con l’Empoli sono stati sette - succede… 

Ma la tua domanda non verteva sull’analisi della partita, ma su quello che dobbiamo fare. Quello che dobbiamo fare è avere il coraggio di entrare domani in campo, e di accettare una reazione di grande romanismo che può essere un supporto fantastico o una manifestazione di scontento, una manifestazione negativa. Dobbiamo portare rispetto per questa manifestazione, sia positiva, sia negativa, e avere il coraggio di giocare contro una buona squadra che sta psicologicamente molto bene, perché ha fatto un avvio di campionato buonissimo, consapevoli che sarà una gara doppiamente difficile, perché avremo questo tipo di pressione extra, che è un attacco all’orgoglio di un gruppo di professionisti, come siamo noi. E qualcuno di noi è anche romanista. Dobbiamo avere coraggio. 

Con due giorni per lavorare - lavorare tra virgolette - per recuperare dal risultato di Genova, non c’è tanto altro da fare che avere il coraggio, la personalità di andare all’Olimpico. Per me è un peccato che la partita non sia oggi, mi sarebbe piaciuto”.

Credo che serva una scossa: se oggi il presidente Dan Friedkin le offrisse un rinnovo di contratto, lei lo firmerebbe?

“Stiamo parlando di una situazione ipotetica. A me non piace parlare di situazioni ipotetiche. Tu stai usando il ‘se’: non ha successo, non on è una risposta che posso darti. Quello che posso dirti, e forse non è la risposta che ti aspetti, perché non vado diretto alla tua domanda, è che tre mesi fa era quasi un dramma il pensiero che io potessi andare via. A Budapest, in campo, ho detto ai giocatori e allo staff che io sarei rimasto qua. Due o tre giorni dopo, abbiamo giocato contro lo Spezia, io ero squalificato, torno in campo dopo la partita e lì dico ai tifosi che sarei rimasto. Due, tre o quattro giorni dopo ho incontrato il presidente Dan Friedkin e gli ho dato la mia parola che sarei rimasto qua. Durante le vacanze, ho avuto la più grande, la più importante, la più pazza offerta di lavoro che un allenatore abbia mai ricevuto nella storia del calcio. E l’ho rifiutata. L’ho fatto per la parola data ai miei giocatori, la parola ai miei tifosi e la parola al mio proprietario. Tre mesi dopo, sembra che io sia il problema. Io non lo accetto. 

Non leggo, non sento, non guardo la tv, però ho amici, ho giocatori, ho collaboratori, ho gente che, anche se non lo voglio, mi fa arrivare le cose. Non lo accetto. Perché non è vero. Io non sono il problema. Nel calcio, e praticamente anche nella vita, le cose sono multifattoriali: neanche quando si vince, non si può dire che il responsabile sia uno. Lo siamo tutti. Sono tutte piccole cose che succedono all’interno di un club, di un’azienda, di una struttura politica, di una struttura educativa, che conosco bene perché ho lavorato all’interno di una di esse. È tutto multifattoriale. 

E quello che tre mesi fa era il più grande problema del romanismo, dei giocatori, di Trigoria, si compromette e dà la sua parola: e questa parola io la mantengo fino all’ultimo giorno. Fino al 30 giugno 2024 io sono qua a lottare ogni giorno, a lavorare ogni giorno, per i giocatori, per la società, per i tifosi. C’è una sola persona che prima del 30 giugno mi può dire ‘è finita’: mister Friedkin. È l’unica che mi può dire ‘José, te ne devi andare’. 

Se non me lo dice, io resto qua, in scadenza o con dieci anni di contratto e mi danno la stessa cifra, per me è uguale. Io sono stessa persona che ha dato la sua parola ai giocatori, a tutta Trigoria, ai tifosi, al mondo. Perché quando io parlo, parlo al mondo. Purtroppo, la mia carriera è stata così: quando io parlo, lo faccio al mondo, non solo per voi. Sono la stessa persona. Fino al 30 giugno sono qua con i miei giocatori, a lavorare per la mia proprietà, a lavorare per i miei tifosi.

C’è una sola persona - e ovviamente può essere mister Dan o mister Ryan: io intendo la proprietà – che può dirmi che sia finita. Non ho paura della pressione esterna, non ho paura di essere fischiato all’ingresso in campo, domani dallo stadio. Non ho alcuna paura.

Se mi vogliono trovare, mi trovano a Trigoria, dove vivo io. E qualche volta, quando decido di andare a cena fuori con i miei compagni, perché ho bisogno di stare fuori da questo ambiente chiuso, vado in un albergo per uno o due giorni. La mia vita è qua. Non ho né paura, né mancanza di fiducia. Sono qui. E domani sono là, assieme ai miei giocatori. Insieme, come sempre. E come sempre dal primo giorno - io e i miei giocatori - ci prendiamo la responsabilità di quello che può succedere prima della partita, durante la partita e dopo la partita. 

Però, l’unica cosa a cui pensiamo tutti insieme è di vincere domani. Che è quello di cui la squadra ha bisogno”.

Dove schiererà Cristante domani, nelle prossime partite, e probabilmente fino alla sosta di ottobre: nel suo ruolo, davanti alla difesa, o nel suo nuovo ruolo come mezzala, oppure dietro, per sopperire al problema del mercato: sono gli stessi, più Ndicka?

“Penso che il 31 agosto il direttore Pinto sia stato qua e abbia fatto una buona spiegazione di come in cui la Roma sia obbligata a interpretare il suo accordo legato al Financial Fair Play:per avere questo, non puoi avere quello. Si devono prendere delle decisioni anche sai che sono rischiose. 

Dicendo che siamo gli stessi, ti sei dimenticato di dire che Ibanez non c’è più. Non c’è neanche Kumbulla, che, quando l’anno scorso era disponibile, ci dava una mano per questo tipo di problematiche. 

Quando Smalling si è infortunato, siamo rimasti in tre, e siamo rimasti in tre in un periodo dove si gioca una partita alla settimana, in un periodo in cui per tre settimane consecutive giochiamo ogni tre giorni: credo che saranno otto partite in un corto spazio di tempo.

L’infortunio di Diego (Llorente, ndr) fa parte di Diego: è la sua storia clinica e ci ha messo in difficoltà. Come dicevo prima, non è il momento di trovare alibi o, peggio, di incolpare qualcuno, perché veramente non è colpa di nessuno: questa è una conseguenza di una situazione legata al Fair Play Finanziario, che sapevo perfettamente che sarebbe potuta succedere.

Nella partita con il Genoa, il miglior momento che abbiamo avuto è stato ovviamente il gol. E dopo il gol, la squadra che sembrava che stesse sviluppando in una determinata direzione, è stata forzata a fare un cambio (per l’infortunio di Llorente, ndr). A me non piace parlare individualmente dei giocatori – ma parlare bene è più facile che parlare male – ma veramente in questo momento Cristante è il calciatore che ci dà di più, perché ha avuto un’evoluzione fantastica a livello tattico, a livello tecnico, nel modo di pensare il gioco, anche nella velocità di esecuzione: uno che non era propriamente un genio con la palla è diventato più sveglio, più obiettivo, più veloce. È importante offensivamente e difensivamente: è fondamentale per noi.

E in quel momento lì, la squadra ha peggiorato. Tu mi domandi cosa faremo domani. E magari dopo arriverà la domanda se giocheremo a quattro o a tre, che è una domanda normale. Per difendere a quattro, Joao Costa (calciatore della Primavera, ndr) deve giocare domani. E sarà convocato.

Non ti dico se giocheremo a quattro o no, ma per farlo possiamo riuscirci solo con El Shaarawy ala sinistra e con Joas Costa ala destra. Perché se qualcuno di voi mi dice che Dybala può fare l’ala destra in un sistema a quattro, io rispondo che voi scrivete Dybala sembrava molto stanco in queste due partite, giocando dentro, e immaginate giocando fuori…

Io non dovrei neanche parlare di queste cose con voi: abbiamo una partita domani difficile, importante, con una pressione extra, e la dobbiamo giocare al massimo delle nostre potenzialità. 

E magari adesso mi arriva una domanda se mi aspetto di più dai giocatori: sì, mi aspetto di più. Mi aspetto di più da me stesso perché sono sempre molto, molto esigente con me stesso, però mi aspetto anche di più dai giocatori. Quando prendo due gol da palla inattiva, tu mi potresti domandare se io abbia allenato le palle inattive difensive, e io ti rispondo di sì, lo faccio: alleno le palle inattive difensive.

 Se mi chiedi però se io abbia allenato la costruzione bassa e abbia detto a un calciatore di centrocampo di aprirsi sulla linea, che poi a palla persa abbiamo uno spazio vuoto dentro, la risposta è no, non ho mai detto di fare così. Se mi domandi se io abbia detto al nostro calciatore più offensivo di abbassarsi trenta metri e di lasciare isolato Lukaku, no, non l’ho mai detto. 

Sì che mi aspetto di più dai giocatori, sì che mi aspetto di più da me stesso, ma anche da loro”.

E lei ha avuto una buona risposta dai giocatori?

“Non è una cosa che senti sempre, è una cosa che qualche volta senti più o mano. Questi ragazzi sono miei amici. Io sono amico loro. Siamo un bel gruppo. Non esiste solo empatia, perché qualche volta c’è un’empatia di lavoro ma non c’è amicizia: c’è empatia fra di noi e questa è una base che non ha prezzo, principalmente in questi momenti qua. 

Perché quella storia che l’allenatore è un uomo solo nei momenti difficili… Io con loro non sono mai solo. Mai. Sono un po’ più solo, perché a me piace stare solo, a me piace nel senso di nascondermi nei miei pensieri, nelle mie analisi. Mi piace isolarmi qualche volta. Però con i i miei giocatori non mi sono mai sentito solo. E nemmeno i miei calciatori si sono sentiti soli con me. 

Mi aspetto di più in campo, mi aspetto di vedere le cose sulle quali lavoriamo, le cose che lavoriamo, mi aspetto una mentalità diversa, una fame diversa, una responsabilità diversa e anche gente nuova che è arrivata io penso che crescerà alla velocità che noi gli facciamo vedere come siamo noi. 

Per farti un esempio, Ndicka come difensore puro e Ibanez: mai nella vita, c’è una differenza enorme. Con la palla, Ndicka è molto più bravo di Ibanez. Ma difensivamente non è il guerriero, non è il gladiatore. Perché Ibanez faceva errori con la palla, e si trattava di errori in partite che la gente non si dimentica. Però era quel guerriero lì. Ndicka può arrivare o arriverà solo alla velocità che gli altri gli mostreranno. 

Noi a Genova abbiamo avuto sette angoli: sai quante volte abbiamo attaccato la palla prima dell’avversario? Zero. Ma come possiamo fare gol da palla inattiva se non abbiamo il coraggio di attaccare la palla lì? Dobbiamo migliorare per forza. 

Io mi aspetto di più dai giocatori e di più da me stesso. Ed è più facile dire questo quando c’è amicizia. È più facile dire ho bisogno di più”.

Spalletti disse che il terzo anno era difficile farsi seguire dai giocatori, perché le cose entrano da un orecchio ed escono da un altro: i calciatori si sono abituati e c’è meno attenzione, meno impatto da parte loro. È vero che nel terzo anno…

“Io non la penso così”. 

Il terzo è un anno come tutti.

“Quando una persona sta bene, non cambia. Non c’è il terzo anno, né il quinto, né il decimo”. 

E si è seguiti sempre allo stesso modo?

“Anche nel primo anno ci sono dei problemi. Ho amici che ho conosciuto a cinque anni e sono ancora amici miei. Non credo che esista il terzo, il quarto o il quinto anno: è una maratona, e in questo caso è la maratona della vita. Una maratona di quattro, cinque o sei anni, durante i quali sei in una squadra. Non lo vedo come un problema. 

Il problema - e l’ho vissuto - è quando non senti questo amore e allora avverti la necessità di dire basta. O quando sei stanco di un rapporto, pure quando qualche volta non ci sono problemi, ma si tratta di un rapporto che ha un particolare tipo di limite, io la vedo così. 

Ci sono allenatori che hanno tanti soldi da spendere, che cambiano giocatori con una facilità tremenda. Noi non lo possiamo fare. Ci sono altre società che decidono di mandare via un allenatore e di prenderne un altro, perché si spendono meno soldi ed è più facile. Ma io penso che il punto di partenza non siano gli anni che passano, ma un rapporto che esiste o che non esiste. In questo caso, il rapporto esiste. 

Non voglio tornare alla domanda se accetterei o meno il rinnovo, perché è tutto ipotetico, ma a me il fatto di stare qua dentro, nel lavoro di ogni giorno con i miei giocatori, mi piace tantissimo. E se non posso dire che ho avuto dei club dove mi sia piaciuto lo stesso, però non posso dire che mi sia piaciuto di più in nessun un altro posto”.

C’è una mossa alla Mourinho oggi, per risolvere la situazione della Roma?

“La risposta che ti do adesso è quella che ti avrei voluto dare e ho fatto lo scemo (il giornalista è il direttore del Romanista, Daniele Lo Monaco, ndr), dandoti una risposta sbagliata, e poi mi sono scusato con te. Adesso cerco di darti la risposta a questa domanda. 

È in questo tipo di momenti che uno si deve isolare. E una cosa è isolarsi, perché gli altri ti vogliono solo: non ti vogliono bene, non stanno con te, non avvertono alcuna empatia, non ti vogliono aiutare e ti lasciano da solo. Questa è la cosa più comune nel mondo del calcio ed è la storia che un allenatore, quando perde, è un uomo solo. Un’altra cosa è quando tu sei un uomo solo per tua scelta, e questo è il mio caso adesso. 

Negli ultimi due giorni sono andato a letto alle 6 del mattino dopo la partita, mi sono alzato solo alle 12:15 dopo che ero rimasto sveglio fino alle 7, 7:30. E ho pensato da solo, ho deciso da solo, perché in questo momento c’è tanta gente che parla, ci sono tanti che dicono la loro opinione: fuori ma anche dentro. Se oggi vado dai miei assistenti, oggi ognuno di loro mi dirà qualcosa. Perché ognuno di loro ha un’opinione.

Nella riunione che ho fatto ieri con i giocatori, ho iniziato dicendo che io avrei fatto delle domande e che io avrei risposto alle domande, perché mi sarei messo nei loro panni, e sarei stato capace di rispondere. E ho detto che se avessi sbagliato in qualche risposta, loro avrebbero dovuto alzare la mano e dirmi che non avevo ragione, che loro la pensavano diversamente.

Ho fatto dieci domande e ho dato altrettante risposte, e nessuno di oro mi ha detto che avevo sbagliato: ho risposto come avrebbero risposto loro. 

Perché l’ho fatto? Primo, perché li conosco loro molto bene. E secondo, perché non volevo sentire nessuna loro opinione. Era questo quello che avrei voluto dirti l’altra volta, quando ti ho risposto male sul fatto che se uno non si è seduto in panchina, non può esprimere la sua opinione. Finiamola qui, perché stato veramente brutto da parte mia”.