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Dalla A alla Z: l'alfabeto del Derby attraverso le coreografie della Curva Sud


L’alfabeto del derby secondo le coreografie; dalla A alla Z, attraverso quei momenti in cui mancano tutte le parole e ne servono solo due: forza Roma!

A

Per Amore. Per la Roma. “Ti Amo” la più grande dichiarazione di dipendenza mai fatta da un popolo. Il 23 ottobre 1983, alle 14.30 circa, dalla Sud il boato silenzioso che ha tolto le parole allo stadio e a qualsiasi altra curva: nessuno lo aveva mai fatta prima una coreografia così, nessuno l’aveva mai detto dentro uno stadio e chissà poi quanti l’hanno detto veramente. “Ti Amo”. Una volta e per sempre. Al massimo potranno farci l’eco.


B

La Sud si espresse perentoriamente il 15 gennaio 1989: “11 anni di B ancora parlate” (i più informati dicono siano 12). In un derby l’almanacco pesa.


C

“C’è solo l’AS Roma”. E’ il 27 novembre 1994, il derby di Balbo, Cappioli, Fonseca e di Mazzone sotto la Sud, l’espulsione di Negro, un risultato che mancava dagli Anni 60, un trionfo puro, totale, completo. All’altezza dello spettacolo della Curva Sud con le strisce che scendono e salgono alternativamente, contemporaneamente, a comporre quello che è e sarà per sempre lo stemma della squadra di Roma. “Questo stemma ho nelle vene, questo stemma mi appartiene” (il 26 gennaio 2020). Però alla C come fai a non mette “Ciao ‘nvidiosi”? (26 febbraio 84).

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D

“Delenda Est”. È il 27 ottobre 2002. Questo c’è scritto sotto la Sud (“Lazio delenda est”) a corredo di un telone: una citazione per certi versi doverosa per la curva della squadra della città di Roma. La storia siamo noi, qualcuno si senta escluso.


E

“È la storia che vi condanna” questo lo striscione che accompagnava il disegno di Giulio Cesare e il suo pollice verso davanti alla Nord. È il 18 aprile 2010 il derby sarà uno dei più belli di sempre, con un tricolore come scorcio che invece svanirà in una sera contro la Samp di maledetta primavera veramente. Ma niente toglierà dal cuore la doppietta di Vucinic sotto la Sud, la parata di Julio Sergio a Floccari sotto la Nord. E poi Totti che diventa coreografia e fai i pollici versi verso tutti. Ave. Ave Roma alè.

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F

“Figli di Roma, Capitani e bandiere, questo è il mio vanto che non potrai mai avere”. È l’11 gennaio 2015. È una coreografia all’altezza della Sud Anni 80, cioè di quando gli stadi sembravano abitare in paradiso. Una scenografia che profuma di studio, storia e rispetto, col volto dei 16 figli di Roma, capitani e bandiere scelti dai ragazzi della curva…

Uomini che hanno vissuto e incarnato la Roma e che accompagnano questa squadra dalla sua alba fino a dove non ci sarà tramonto. Nel caso immaginatelo come quando avete visto apparire quei volti che ci guardavano dal passato. Qualcosa di eterno.


G

“Guardate la Sud, il simbolo di Roma e la gente in festa: siamo dell’ultras tutto ciò che resta!”. È il 23 ottobre 2005 lo stesso giorno del Ti Amo, ventidue anni dopo. In fondo un altro modo per dirlo. Una coreografia sottovalutata e quasi mai ricordata, ma la scritta accompagna quel simbolo della Lupa sempiterno accanto ai colori giusti di Roma, mentre la gente è in festa veramente. In Sud, tra palco e realtà.


H

(in)Hoc nomine vinces. È il 4 maggio 1997. Revisione dell’In hoc signo vinces perché pesa eterno il nome di Roma scritto in alto appena sotto al tabellone. Una lupa sopra le colonne sotto al drappo rosso porpora e la data di fondazione (753 ac) non di una squadra e nemmeno solo di una città, ma dello stesso sogno.


I

“Il mio nome è il simbolo della tua eterna sconfitta”. Se il Ti Amo è la coreografia che ha detto tutto col cuore, questa è quella che ha fatto altrettanto con la testa. È il nome la differenza. È il nome che condanna e sentenzia. È il nome l’appello di Roma che ti fa romanista e romano.

Concettualmente, filosoficamente, difficilmente si potrà dire meglio di così il significato e la definizione di questa partita. Come l’orgoglio e la bellezza di vincere quella proprio quel giorno (il 22 settembre 2013).


L

“La nostra certezza è grande come la vostra illusione”. Ha preceduto quel Ti amo che pure accompagnava un altro striscione totale della nostra storia (“Una fede, una volontà, un traguardo, vincere malgrado tutto”). Ma questa frase ha posto esattamente le misure fra cos’era quella Roma e gli altri.

Il derby mancava da quasi quattro anni perché la Lazio li aveva passati in Serie B, la Roma invece li aveva passati a vincere uno Scudetto, qualche Coppa Italia e giocando la Coppa dei Campioni. Dopo 3’ Nela segnò sotto la Nord nei fumogeni: la nostra certezza era persino ancora più grande, a loro non restò nemmeno l’illusione


M

Mora Zofra, l’anagramma di Forza Roma. Ma così i ragazzi del Commando presentarono la scritta pirotecnica da montare ai pompieri che erano laziali, come le luminarie per la festa di un paese chiamato, appunto, Mora Zofra. È il 19 marzo del 1978, siamo agli albori delle coreografie del tifo organizzato romano (la prima è del 20 novembre 1977, quello delle mongolfiere). Siamo agli albori ma Mora Zofra sempre.


N

'Nvidiosi. Per sanare la C, perché quel Ciao 'Nvidiosi con la manina così ha fatto epoca. Ed è un saluto che vale sempre


O

“Onore a chi ci ha lasciato con la Roma nel cuore”. È la coreografia del derby del 5-1: una scelta della Curva Sud in un momento particolare della sua vita, rendere omaggio con tanti striscioni ai tanti ragazzi, ai romanisti che non ci sono più ma “anche” loro “Campioni d’Italia”. Solo i loro nomi, questo striscione, bandierine tricolori per una Roma che poi quel derby lo ha giocato davanti a loro direttamente in paradiso.


P

“Prendiamoli a pallonate”. È il 29 aprile 2001, una coreografia dal sapore vintage e innovativa rispetto anche a una nostra tradizione scenografica: calciatori balilla disegnati in alto, cartoncini verdi per il prato da biliardino e centinaia di palloni gonfiabili da far rimbalzare liberi (ve lo ricordate quando si giocava in Curva ore prima della partita a rilanciare un pallone che a un certo momento usciva per far passare il tempo?). È il derby dell’unica mitraglia e del pareggio alla fine, ma quel giorno restammo a + 6. Il sogno da bambino non era più solo un biliardino.


Q

“Quanto sei bella Roma”. Classica, poco ricordata, ma la Roma monumentale dipinta sui teli merita una menzione non fosse altro che è quella del ritorno del 3-0 di Mazzone. Sì, perché questo derby – è il 23 aprile 1995 - lo abbiamo perso 2-0, ma pure finì con tutto lo stadio romanista che cantava una vittoria per “3 a 2” tanto era il clamore ancora del successo dell’andata. Dall’altra parte sguardi attoniti, stupore e incomprensione. Non capiranno mai che significa essere della Roma.


R

Roma. “Quattro lettere un Amore, un lungo brivido in fondo al cuore”. Con un telone plastificato l’8 dicembre 1996 o con le bandierine gialle su cartoncini rossi il 18 novembre 2017. Roma, più che un nome, un privilegio.


S

“Sempre s’innalza la nostra bandiera, simbolo di fede, volontà e vittoria”. Forse una delle coreografie più intense nella storia dei nostri derby. La più semplice: una bandiera per uno in mano, un tricolore romanista e romano, e più che una spiegazione non necessaria (“…la nostra bandiera simbolo di…”) un manifesto per uno stuolo di innamorati.

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Non era libero un metro quadrato. La Roma giocò il derby di conseguenza, rimontando con un uomo in meno due gol, segnando anche il 4-3 annullato ingiustamente in uno stadio preda assoluta di quelle bandiere e di un canto. “Perché perché la domenica mi lasci sempre sola…”. No, mai sola mai, Roma mia.


T

“Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma”. La prima coreografia dei ragazzi dell’AS Roma Ultras, dopo oltre vent’anni di dominio sugli spalti del Commando. La via è quella della storia, della classicità dell’ostentazione di origini, radici e nome. E la citazione di Orazio: “Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma” ed è vero: 4-0 alla mezz’ora del primo tempo no, non si erano mai visti.


U

“Una lupa i gemelli nutre e si chiama Roma la sovrana del mondo”. È il 15 aprile 2018, la Roma che elimina il Barcellona, il palo di Bruno Peres. Strani giorni, strani indimenticabili magici giorni, in cui davvero tutto scorreva sospeso e la Curva Sud chiosava citando le Elegie Romane di Goethe.

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U come (l’)Urbe siamo noi, caso di coreografia fatta a inizio secondo tempo (novembre 2017) o come quel gigantesco UR – Ultrà Roma – del 2 dicembre 1990, simbolo di generazioni fulminate dall’amore per Roma. Come Goethe a suo tempo.


V

“Voi sulla maglia, noi in curva con questi colori uniti per la vittoria”. Coreografia non memorabile, come il derby che l’ha vista, ma fatta dai ragazzi della Curva con la capienza al 50% (per via delle restrizioni Covid). Solo il modo per dire che noi ci siamo sempre.


Z

Tutte le parole che non vi ho detto, tutte le coreografie rimaste fuori. Lazio-Roma 0-1, gol di Volk, 8 dicembre 1929 il primo derby: nostro per sempre.

Il 5-0 del primo novembre ‘33, il 4-0 del ’60 di Manfredini con la Roma prima e la Lazio ultima. Da Costa che gli segnava sempre e Delvecchio che faceva la stessa cosa. Totti. I cinque derby vinti di fila. Il derby di Coppa Italia del settembre ’84 quando addirittura esponemmo in Sud una parte della loro coreografia.

Montella-Montella-Montella-Montella-Totti. L’autogol di Negro nel 2000-01 e quello nel 1941-42 di Faotto: ci abbiamo vinto due Scudetti con due derby vinti per autogol.

I 18 derby vinti di più. Quelli mai persi con un certo scarto, quell’unico perso a Testaccio. L’amore, l’amore per la Roma per questa squadra col nome, i colori e il simbolo di questa città che profuma di storia, panni, sampietrini e arte. Il nostro cuore.

Tonino Cagnucci