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Cufrè: "Per la Roma ho sempre dato tutto, rispettando il suo dna"


Nella Roma giocò 108 partite da difensore perché quello era, Leandro Cufrè. Centrale argentino di temperamento, arcigno, assillante in marcatura.

Per informazioni chiedere ad Alessandro Del Piero. Con Luciano Spalletti come allenatore, Leo agì anche da terzino sinistro, ma lui era soprattutto un centrale. Oggi Mourinho lo avrebbe definito “un terzino di stabilità”. Fare gol non faceva parte esattamente dei suoi compiti specifici.

Ma in un paio di occasioni ci riuscì e in una di queste decise la sfida di Coppa UEFA del 20 ottobre 2005 contro il Tromsoe, realizzando il definitivo 2-1. Da terzino sinistro. Ad oggi, quella risulta l’unica partita disputata in Norvegia nella storia della Roma. E contro l’unica formazione norvegese. Fino a stasera, quando i giallorossi scenderanno di nuovo in campo sul terreno scandinavo di Bodo.

Se la ricorda quella sera a Tromsoe?

“Me la ricordo benissimo. Pure il freddo che faceva”.

Pure stavolta a Bodo non si preannunciano temperature miti.

“Ma da quelle parti è sempre così. Fa parte del gioco. E, comunque, giocare certe partite, in un clima del genere, è bello e può portare ad esaltarti”.

Come successe a lei nel 2005, realizzando la rete della vittoria.

“Fu una partita complicata, anche se noi eravamo ovviamente più forti nei valori della rosa. Poi c’era la preoccupazione del derby, che avremmo giocato dopo tre giorni e che a Roma è sempre sentita come una partita particolare. Andammo in vantaggio con Kuffour, poi loro pareggiarono, ci fu un po’ di equilibrio, fino al gol mio a cinque minuti dalla fine. Un tiro di sinistro a incrociare. Una bella soddisfazione per me, anche una bella spinta in vista della partita con la Lazio, che pareggiammo 1-1”.

Lei poi l’ha sempre sentita particolarmente la stracittadina.

“Vero, ma perché sono stato legato alla Roma. Oggi il mio cuore è giallorosso. Lì ho vissuto i migliori anni della mia carriera e della mia vita. Roma rimarrà sempre nel mio cuore e quando posso ci torno”.

Cos’hanno Roma, la Roma, di particolare?

“I tifosi sono meravigliosi. La città vive per il calcio. E la squadra ha il suo dna che dovrebbe essere sempre rispettato”.

Definisca dna.

“Chi gioca nella Roma deve dare sempre tutto. Poi può giocare male, perdere, ma l’impegno non deve mai mancare per quella gente allo stadio. Io, nel mio piccolo, ho sempre cercato di rispettare questo codice. E la squadra l’ho sempre difesa. Pure quando venivano a casa nostra a fare i padroni. O, almeno, provavano a farli”.

Si riferisce a qualche episodio in particolare?

“A quella serata di Champions del 2002 contro il Galatasaray, quando si scatenò quella rissa a fine partita con i giocatori turchi. Successero cose che non dovevano accadere, ma noi giocatori – me compreso anche se non giocavo – difendemmo la nostra casa”.

Lei diventò un giocatore giallorosso proprio in quella stagione, 2001-02. Quella con lo scudetto sul petto.

“Avevo 23 anni, venivo dall’Argentina dal Gimnasia La Plata e inserirmi in una squadra così forte, alla quale furono aggiunti Cassano e Panucci, non fu facile. I primi due anni giocai poco, poi decisi di andare a fare un’esperienza a Siena. Mi fece bene, tanto che poi tornai a Roma e giocai praticamente sempre. Anche Capello, che ho rivisto un po’ di tempo fa qui in Messico, me lo ha riconosciuto”.

Ci furono delle incomprensioni con il mister all’epoca?

“No, il nostro rapporto fu diretto i primi anni. Io gli feci presente la mia situazione, lui mi rispose che non avrebbe potuto garantirmi di giocare. E così decisi di andare a Siena”.

Poi, nel 2006 la cessione definitiva al Monaco. Anche inaspettata, considerando che veniva da un buon campionato con Spalletti.

“Sì, arrivò quest’offerta d’estate, dopo che io ero tornato dal Mondiale del 2006 con l’Argentina. Avevo fatto un bel campionato con la Roma, andammo anche in Champions. In Francia mi offrirono tre anni di contratto, decisi di accettare. Ma forse non fu la cosa giusta da fare. Comunque, come già detto, sono rimasto romanista dentro”.

Dunque, oggi la segue la sua ex squadra quando può?

“Sì, sempre. Mi piace vedere calcio, mi piace tanto vedere le partite della Roma”.

L’arrivo di Mourinho da allenatore giallorosso che effetto le ha fatto?

“È un grande tecnico. Mi auguro riporti lo scudetto a Roma come fece Capello all’epoca. Prima parlavo del dna della Roma, di impegno e sacrificio che per questa società non dovrebbero mancare mai da parte di nessuno. Ecco, Mourinho è un uomo che ha sempre dimostrato attaccamento alla causa in ogni esperienza che ha vissuto in panchina. Ed è bello”.

Prima accennava ad un incontro in Messico con Capello. Ma lei si trova ancora lì?

“Sì, sto bene. Vivo a Guadalajara, è una città fantastica. La mia famiglia si trova a suo agio. Attendo che qualche club mi chiami per farmi allenare. Ho già fatto esperienze interessanti, ho vinto il campionato con il Santos Laguna. Poi ho allenato l’Atlas. Per ora non intendo muovermi. E se lo faccio, è solo per tornare a visitare Roma”.