Zlatan Ibrahimovic, Paul Pogba, giusto per citarne un paio. Ma anche Marco Amelia. Ex portiere giallorosso, nella rosa della Roma del terzo scudetto del 2001, ma che non riuscì mai a esordire in prima squadra, né a tornare successivamente. “A Trigoria ci sono praticamente cresciuto, dispiace non essere mai sceso in campo con questa maglia. In ogni caso, sono contento della carriera che ho fatto”.
Già, perché nella carriera di Marco Amelia c’è la spedizione Mondiale in Germania del 2006 da terzo. Ma pure esperienze in top club come Milan e Chelsea. È proprio in queste due squadre che Amelia ha incrociato “Max e José”. Li chiama per nome, testimonianza di un rapporto che è anche andato al di là del campo.
Mourinho e Allegri, ce li descrive?
“Molto volentieri”.
Da chi iniziamo?
“Max, almeno andiamo in ordine cronologico secondo la mia carriera”.
Che allenatore è stato per lei, in quattro stagioni rossonere?
“All’epoca era ancora un tecnico emergente. Veniva dal Cagliari, dove aveva fatto molto bene, ma doveva confermarsi ad alti livelli, con calciatori di classe e personalità. C’erano già Seedorf, Nesta, Gattuso, Pirlo, Ambrosini. Arrivarono poi Ibrahimovic e Robinho. È stato sempre molto attento ai dettagli. Con dei principi tattici da far interpretare ai giocatori in campo. Vinse lo scudetto al primo colpo, dopo sette anni dall’ultima volta. E interrompemmo l’egemonia dell’Inter”.
Dell’Inter di Mourinho.
“Ma lui lo avrei trovato nel mio percorso qualche anno dopo. Nel 2015, a Londra. Nel Chelsea”.
London Calling, sarebbe il caso di dire.
“Ed è proprio da una telefonata che nacque la mia storia con il Chelsea, anche se breve”.
Racconti.
“Vidi un servizio in tv in cui parlò Mourinho a proposito dell’infortunio a Courtois. Disse che gli sarebbe servito un portiere, anche se il mercato era chiuso. Io ero svincolato. Così mi misi in contatto con un uomo dello staff di José, dando la mia disponibilità. La cosa prese corpo e poi parlai direttamente con lui, con Mourinho”.
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E cosa le disse?
“Era a conoscenza della mia situazione, in quel momento. Lui è sempre informato e aggiornato su tutto. Mi chiese in che condizioni fisiche fossi. Stavo bene. Così volai a Londra per un provino. Andò bene e iniziò così. Anche un pizzico di fortuna, dato che si incastrarono un po’ di situazioni”.
Quando poi si trovò a lavorare con lui?
“Mi caricò tantissimo, nonostante avessi un ruolo non di primo piano nella rosa. José ti impressiona, ti colpisce fin da subito. Ti fa sentire importante, anche se ero l’ultimo arrivato. Da questi dettagli capisci perché tutti i giocatori che lo hanno avuto, si butterebbero nel fuoco per lui. Quell’esperienza cambiò la mia prospettiva. Mi è utile anche in questo momento, che alleno il Prato in Serie D”.
Dovesse definire in una parola, un solo aggettivo, Allegri e Mourinho?
“Difficile, eh. Allegri direi pragmatico. Sa trovare soluzioni sempre, anche in situazioni difficili. Mourinho devastante, invece. In maniera positiva. Ti entra nella testa. Sa entrare in sintonia con tutto l’ambiente. Alza il livello generale. Vediamo quello che è successo con la Roma. Il livello si è alzato in tutto e per tutto. Lo ha fatto ovunque. Al Porto, al Chelsea, al Real, all’Inter”.
A proposito di ambiente e di Roma, le sembra un manager aderente alla realtà romanista? Che sa suscitare immediata empatia?
“Lo dissi in tempi non sospetti, per me Mourinho è perfetto per l’ambiente romanista. Lui e Roma si sposano a meraviglia. Con questa strategia dei Friedkin si può costruire nel tempo qualcosa di importante. Non è facile vincere subito, le cose vanno costruite nel tempo. Anche la mentalità. Ma i presupposti per fare bene ci sono tutti”.
Su Juventus-Roma, invece, che sensazioni ha?
“Credo che la partita potrà essere in parte condizionata dal fatto che diversi giocatori abbiano giocato partite e fatto viaggi per le rispettive nazionali. Magari l’intensità potrà essere più bassa. Probabilmente ci sarà attenzione difensiva estrema, per poi lasciare ai giocatori davanti lo spunto per una giocata decisiva. Penso a Mkhitaryan e Pellegrini, ma anche Dybala e Cuadrado. La differenza la fanno sempre i giocatori”.
Il confronto a distanza trai portieri Szczesny e Rui Patricio può rappresentare un’altra chiave di volta del match?
“Senza dubbio. Sono due portieri forti. Li conosco bene entrambi. Szczesny ha avuto un momento di difficoltà, ma ci può stare. Ha sempre avuto continuità di rendimento. Rui Patricio ha dimostrato di essere forte in tutta la sua carriera. Ha avuto un approccio molto buono in una piazza in cui il ruolo del portiere è particolarmente delicato. Lui si è imposto subito con personalità e qualità tecniche di base indubbie”.
I due allenatori cosa potranno dare in una partita così?
“Mourinho può incidere tanto per la mentalità che sa trasmettere ai suoi in campo. Entra nella testa dei giocatori. Allegri è molto bravo nella lettura delle partite. Prima e durante”.
Lei da tecnico a chi si ispira di più?
“Beh, ne ho avuti tanti di allenatori bravi in carriera, se devo prendere qualcosa da qualcuno, prendo da tutti. Io non credo che il calcio debba essere schematico. I giocatori non vanno ingabbiati dentro un sistema. Credo più nell’interpretazione delle situazioni, in ogni momento. E poi i calciatori, come detto anche prima, trovano il modo per farti vincere la partita. Perché alla fine quello è che conta, il risultato. In base al risultato vieni giudicato. Non c’è niente da fare”.
Al Prato come sta andando la sua esperienza?
“Mi sto trovando molto bene. Venendo qui ho trovato una società nuova, subentrata a luglio. Un ambiente che ha avuto delle difficoltà. Hanno scelto me per costruire un percorso nuovo e tornare tra i professionisti. Negli ultimi 44 anni, il Prato ha vissuto 40 anni di Serie C e 4 tra i dilettanti. Ho trovato un gruppo giovane, che mi ha dato risposte importanti fin da subito. Non è facile quando subentri in corsa, ma sono sicuro che faremo bene”.
Da romanista quale non ha mai nascosto di essere, quanto le è dispiaciuto di non aver mai indossato la maglia giallorossa in gare ufficiali?
“Non esiste un aggettivo per questo. Sono cresciuto dentro Trigoria. Il giorno che sono andato via ho sempre sognato di tornarci. Mi è mancata come cosa, non lo nego, ma alla fine non mi posso lamentare di quello che ho avuto”.
C’è stato un momento in cui lei è stato più vicino alla Roma di altri?
“Sì, nel 2010 prima di andare al Milan. Ci poteva essere la possibilità, ma i tempi erano lunghi. La chiamata di Galliani mi gratificò e accettai subito. Non mi andò male, anche se per la Roma ho sempre avuto un debole”.
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