Lo aveva raccontato lo stesso regista/attore in un’intervista ad asroma.com del 2014, di come questa storia ebbe inizio. “Il contagio per la Roma fu merito di un mio compagno di allora. Si chiamava Franco e aveva una grande capacità: era bravo a disegnare. Ci sapeva fare davvero. Pensate, quando dalla radiolina sapevamo i risultati delle partite, lui immaginava i gol rappresentandoli su carta. E in particolare, era bravissimo a riprodurre le maglie romaniste, cogliendo ogni dettaglio”.
E ancora: “Mi colpì molto, dato che io collezionavo figurine Panini. Un giorno successe che questo amico, Franco, mi disse: “Andiamo allo stadio”. E così mio padre Mario ci accompagnò all’Olimpico. Fu straordinario. Erano gli anni di Ghiggia”.
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Da allora, l’artista – oggi, 17 novembre, 71enne, auguri! – non ha mai nascosto il suo essere romanista. Fu tra i giurati della Hall of Fame nel 2014, presentò la cerimonia della stessa “Hall of Fame” all’Olimpico il 23 ottobre 2016, ma anche nel corso degli anni quando ha potuto, non ha mai fatto mancare un suo punto di vista sul momento della squadra, talvolta anche non risparmiando critiche.
Nella serie “Una vita da Carlo”, disponibile su Amazon Prime (10 puntate da circa 30 minuti ciascuna), per la prima volta il suo essere romanista diventa argomento preponderante in un suo film, influenzando fortemente la trama (meglio non andare oltre con lo spoiler…). Un qualcosa che fa da sfondo alla sua vita, tra cinema, sceneggiature, dinamiche di famiglia, selfie per strada con i fans, una casa gigante con affaccio su una Roma sorniona, ma sempre meravigliosa.
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Si diceva, la Roma squadra nell’universo artistico di Verdone. La prima volta che la Roma venne menzionata in un suo lavoro fu in uno sketch di “Al Paradise”, un programma televisivo della Rai tra il 1983 e il 1986. Lui interpreta il coatto romano.
Alla domanda cosa avrebbe scelto tra una notte con Bo Derek e lo scudetto della Roma, lui replica senza indugio. “Anvedi questo. Mando a quel paese Bo Derek. Perché la Roma è una fede, la Roma è una speranza. Anzi, forza Roma che semo i mejo”.
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Nel corso del tempo, poche volte la Roma ha avuto una presenza nelle pellicole. Non è mai stato ai livelli di Carlo ed Enrico Vanzina, per dire, che hanno dedicato sempre un ampio capitolo alla Roma nei loro film. Ma alcune citazioni – nel corso del tempo – non sono mancate. La prima volta che in un suo film si fece riferimento al calcio è nel suo primo lavoro, “Un sacco bello” del 1980. La spagnola Marisol chiede a Leo “Scusa, dove Otello della Gioventus?”.
E lui risponde: “Daa Juventus? In che senso?”. Era l’Ostello della Gioventù. Sempre in un “Sacco Bello”, il personaggio di Enzo – maledettamente solo – è alla ricerca di un amico per passare il Ferragosto in Polonia, “na cosa da paura, proprio…”. Sfogliando la rubrica, vuota, con pochissimi numeri, ha memorizzato alla “O” “Olimpico stadio, informazione biglietti” e alla “S” “Stadio Olimpico biglietti”.
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Ne “I due carabinieri” dell’84, Enrico Montesano per spiegargli la liason con la cugina Rita prova a buttarla sulla metafora calcistica: “Lei era libera, io ero libero e tu… stopper”. Marino, impersonato da Verdone, non riderà e non la prenderà bene.
In “Troppo forte” del 1986 si vede qualcosa di romanista per la prima volta nei suoi film. Pur non menzionando mai la Roma in qualche discorso, sui muri del “superattico” di Oscar Pettinari, con vista panoramica “quello è er gas, ma tra due anni se ne vanno e allora tutte chiese, cupole”, sono attaccati alcuni poster della Roma di quegli anni.
In “Il bambino e il poliziotto” (1989), il piccolo Giulio giocando con un pallone dentro l’ufficio di un giudice per l’affidamento dei minori, rompe il vetro di una porta. “Ma che sei scemo a tira’ ‘ste pallonate? Ma ‘ndo credi de sta, a San Siro?”. “L’ho presa di testa e mi è andata in porta…”. “Solo che la porta era quella di un giudice, non quella di Zenga”.
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“Stasera a casa di Alice” (1990) è noto anche per la battuta in cui il neo padre Saverio cerca di fare la conoscenza del figlio adottivo proveniente dalla Romania, Mircea (“Chiamamolo Marcello…”): “Schillaci… Hagi, di tuo paese. Haaaagi, Schillaci. Insieme, SchillHagi…”.
In “Viaggi di nozze” (1995) celebre è il passaggio a Firenze di Ivano e Jessica, in una lussuosa terrazza di un hotel. I due ragazzi, in accappatoio bianco, guardano in direzioni diverse. Poi, Jessica chiede a Ivano: “Ma che te stai a guarda’, Iva?”. “Non riesco a individua’ ‘o stadio”. “E starà daa’ artra parte, Iva’”. “Dichi? Enfatti…”.
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In “Gallo cedrone” del ’98 c’è un richiamo storico, un omaggio alla squadra tricolore 1982-83, “quella del mio cuore”. Armando Feroci (Verdone) è in coma. E sul letto di ospedali, gli amici di sempre cercano di farlo svegliare con racconti o ricordi del passato. Uno di loro, interpretato da Ernesto Fioretti, gli sciorina a mo’ di cantilena “la formazione della Roma dello scudetto: Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcao, Maldera, Conti, Prohaska, Pruzzo, Di Bartolomei, Iorio. A disposizione, Superchi, Nappi, Righetti, Valigi, Chierico e Giovannelli. Allenatore Nils Liedholm”.
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Un altro gli fa eco e va oltre: “Arma’, te ricordi l’ultima domenica de quell’anno, quando te sei arzato in piedi e te sei messo a strilla’ “Semo tutti (BEEP, ndr) daaa Roma”. Te ricordi che boato, Arma’? Sei stato ‘e re doo’ Olimpico quaa domenica, Arma’”. “Ma quante cose se deve ricorda’ co’ l’encefalogramma piatto…”. È il laconico commento di un altro amico presente.
Buon compleanno, Verdone! Una vita da Carlo e anche da romanista.
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