IT
Home Notizie

Ruggero Radice: "Il ricordo dell'anno al Flaminio è magico, come la Roma"


10 settembre 1989. Al Flaminio, la Roma batte l’Atalanta 4-1. Quattro gol alla Dea, che va illusoriamente in vantaggio con Caniggia, prima di essere sommersa dalle reti di Desideri, Gerolin, Berthold e Voeller.

Si tratta della prima vittoria in casa in campionato di quella memorabile stagione, 1989-90. È la Roma guidata da Luigi Radice, in un anno che lo stesso presidente Viola aveva preannunciato di transizione. In casa si gioca al Flaminio per via dei lavori allo stadio Olimpico in vista di Italia 90.

Edificato su viale Tiziano, l'impianto ideato da Nervi è uno stadio all’inglese, che contiene circa 30mila spettatori, con tribune vicino al campo. Ideale per la Roma e i romanisti. In poco tempo si crea una chimica paragonabile ai tempi di Campo Testaccio. Non arrivano trofei, ma ogni partita a Roma, al Flaminio, diventa un dazio per chiunque. “Questa Roma sta gioca’ cor cuore”, è il coro emblematico cantato dai romanisti. Una magica simbiosi tra squadra e pubblico, quasi epica, al quale è stato anche dedicato un libro di recente uscita firmato da Daniele Santilli, intitolato “L’anno del Flaminio”.

La prefazione è scritta da Ruggero Radice, figlio di Gigi. Oggi Ruggero ha 50 anni. È un ex giocatore, Ruggero, ma non ha abbandonato il calcio. Lavora nel settore tecnico della Federazione e nelle giovanili del Grosseto. Anche il suo ricordo dell’anno al Flaminio non è banale e nemmeno annoiato perché “è un modo per ricordare mio papà".

"Di recente sono venuto a Roma per alcune cose di lavoro e c’è stata gente che mi ha parlato di quel campionato di oltre 30 anni fa. Voi menzionate questa vittoria in casa con l’Atalanta, anche se la svolta vera arrivò qualche settimana dopo, al termine di una sconfitta a San Siro l’Inter”.

Inter-Roma 3-0, 1 ottobre 1989. Quella fu la svolta?

“Sì, perché dopo quella netta sconfitta, in cui per l’Inter andarono a segno solo i tedeschi con una doppietta di Matthaeus e un gol di Brehme, ci fu una cena con tutta la squadra in un locale della Brianza, che papà conosceva bene avendo allenato in precedenza sia il Milan, sia l’Inter”.

Riunì i giocatori intorno ad una tavola per rimproverarli della prestazione?

“Tutt’altro, anzi. Lo fece per sdrammatizzare e creare un ambiente ancora più positivo tra i giocatori. Cosa che gli riusciva molto bene, non a caso i ragazzi per lui in campo davano sempre tutto. Lo descrivevano come un sergente di ferro, in realtà era un uomo che dava tanto umanamente ai suoi giocatori. Ovviamente, non si seppe sui giornali di quella serata perché nessuno la raccontò ai cronisti e perché non c’erano i social. È cambiato molto il calcio, oggi”.

Il ricordo di quella stagione, invece, viene sempre rinverdito.

“Fu davvero un’annata meravigliosa. Iniziò con un po’ di scetticismo, pure per il fatto che l’anno dopo sarebbe dovuto subentrare Ottavio Bianchi come allenatore. Si sapeva tutto, eppure nonostante mio padre fosse di passaggio per un anno, riuscì a fare quadrato con i giocatori e ne uscì un campionato con buoni risultati, in cui riportò la squadra in Coppa UEFA. E quella sintonia magica con la gente fece il resto”.

Facendo le dovute differenze e proporzioni, anche in questo inizio di stagione si sta creando un connubio forte tra la squadra e i tifosi, anche per l’effetto Mourinho.

“Ci sta come accostamento. Mourinho, come anche faceva mio papà, è bravissimo a entrare in empatia con i giocatori. Forse il portoghese è il numero uno in circolazione a fare questo. E mi auguro faccia il meglio per la Roma. A questo proposito, posso svelare anche un altro segreto di mio padre per fare gruppo con la squadra”.

Racconti.

“Il venerdì sera portava a cena con sé i giocatori scapoli, li faceva stare con lui. Non li mandava troppo in giro. Almeno ci provava… Lo fece anche a Roma, nei ristoranti che frequentava di solito. Amava la semplicità, fare le cose di tutti. Ed era anche particolarmente abitudinario, papà”.

Nell’anno vissuto a Roma, dove viveva?

“Aveva una casa in centro, in via di Ripetta. Ovunque ha allenato, voleva stare nel cuore della città per viverla al meglio. Conoscere le persone che lavoravano per strada, sentirsi un abitante di quel luogo”.

La famiglia Radice quale immagine porta dietro di quell’anno?

“Nella residenza di Monza abbiamo una gigantografia dello striscione che la Curva Sud dedicò a papà. E anche per tutti noi quel periodo è ricordato con nostalgia. Fu talmente bello che forse fu inaspettato. Molto fece l’atmosfera che si creava dentro quel Flaminio durante le gare. Una simbiosi totale. Magica, come la Roma”.