Il “granfinale”, per dirla con le parole dell’organizzatore dell’evento, nonché storico dirigente romanista, Gilberto Viti. La fine di un’era. L’epitaffio della Roma più bella di sempre, scudettata nel 1983 e finalista di Coppa Campioni nell’84, oltre che vincitrice di diverse Coppa Italia.
Il commiato di “Marazico” è stato anche statisticamente rilevante. Dati alla mano. Anzi, dato alla mano. Si è trattato della partita più presenziata nella storia della Roma dai romanisti allo stadio Olimpico. In ogni incontro ufficiale, campionato o coppa che sia, una rappresentanza di sostenitori avversari è sempre stata presente. Pure in Roma-Parma del 17 giugno 2001 ce n’erano. Pochi, ma sistemati in Tribuna Monte Mario. Ad assistere al terzo titolo nazionale.
Quel giorno, quel 23 maggio 1991, all’indomani della finale di ritorno di Coppa UEFA, Roma-Inter, che vede vincere i nerazzurri, lo stadio si riempie in ogni ordine di posto. Come se nulla fosse successo. Solo tifosi della Capitale sugli spalti. Nemmeno uno spazio libero. Il giallo e il rosso campeggia ovunque. Un assembramento d’amore. Un giorno d’amore, citando il titolo dello speciale televisivo di Michele Plastino che fu dedicato alla giornata e diventato un cult nelle tv locali, con il brano “Losing my religion” dei Rem a sottolineare i momenti più toccanti.
Lo stadio è esaurito. Ed è romanista per la totalità. Due colori. Stop. Il rosso e il giallo. Migliaia di bandierine celebrative a contribuire ad una coreografia epica e suggestiva. “Un Bruno Conti, c’è solo un Bruno Conti”, cantano i presenti. Doverosa una rappresentanza della tifoseria a bordo campo a omaggiare il campione. “Bruno Conti è uno di noi, è un tifoso”, la voce di uno dei tanti. A fare gli onori di casa e a presentare ad uno ad uno gli invitati è il giornalista Rai Gianfranco De Laurentiis. Poi, la delegazione della Curva Sud gli regala una targa: “Stare insieme a te è stata una partita, ci vorrebbe un amico per poterti dimenticare”, riprendendo un passaggio della canzone di Antonello Venditti, “Ci vorrebbe un amico”.
Da un lato – quello romanista – c’è la Roma campione d’Italia del 1983 con la maglia acetata della stagione 1990-91. L’unica differenza è lo scudetto che campeggia sul petto. Quel triangolino che la squadra di Liedholm conquistò 8 anni prima, festeggiando l’aritmetica certezza sul campo del Genoa, a Marassi. Genova per lui. Che fu per Bruno Conti una parentesi, l’unica, al di fuori della Capitale. Lontano dai recinti di Trigoria o del Tre Fontane. C’è il capitano Di Bartolomei, c’è Falcao, c’è Iorio, il “grande caballo” Maldera, poi Righetti, Superchi, Nela e via scorrendo.
Tutti i ragazzi del Barone, che ovviamente siede in panchina. Presente anche Francesco Graziani. Ciccio l’impresa tricolore non la fece, ma accompagnò la Roma dalla stagione successiva. Dall’altro lato del campo la squadra è una selezione di brasiliani. Gli allenatori della rappresentativa verdeoro sono due e d’eccezione. Uno è il ct campione del mondo del 1982, Enzo Bearzot. L’altro è Roberto “Pato” Moure, giornalista brasiliano, fratello di latte di Falcao e maggior conoscitore dei suoi connazionali. Tra i brasiliani ci sono pure gli uruguayani del Cagliari, Daniel Fonseca e Enzo Francescoli. Arbitro? Carlo Longhi di Roma.
Di Bartolomei e Falcao con la maglia della Roma per l’ultimissima volta nella loro vita. Almeno sul terreno di gioco dell’Olimpico. Pure per questo la serata dell’addio di Conti fu magica. Numero 10 per “Ago”, 5 per Paulo Roberto. Come era stato sempre. La indossano da ex calciatori, ormai. Di Bartolomei aveva smesso da un anno, dopo aver chiuso nella Salernitana. Falcao, una volta lasciata la Roma nel 1985, avrebbe giocato solo un altro anno per poi appendere gli scarpini al chiodo. Due fotogrammi restano della serata, tra i tanti.
Il primo, l’abbraccio nel sottopassaggio di Agostino a Bruno, stringendolo da dietro, mentre lo stesso Conti saltella nervoso per l’attesa prima dell’inizio dell’evento.
Il secondo, la corsa verso la Sud di Bruno e Paulo ad omaggiare il settore. Tanta tanta Roma in una notte sola. Una notte magica davvero, altro che quelle di un anno prima. Magica come solo la Roma sa essere.
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