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Scapolo: "Roma il mio apice, peccato per i tanti infortuni"


Roma, la Roma, hanno rappresentato il suo apice. Ma gli è rimasta lì, come un qualcosa di incompiuto. Cristiano Scapolo il giallorosso l’ha vestita un anno, collezionando 8 presenze, di cui 7 da subentrante.

Veniva dal Bologna, fu acquistato dal presidente Franco Sensi a parametro zero. Arrivò gratis come il suo collega di centrocampo, Eusebio Di Francesco, che invece si svincolò dal Piacenza. Destini diversi. Eusebio sarebbe diventato campione d’Italia nel 2001, Cristiano non riuscì ad imporsi.

“Colpa di tanti, troppi, problemi fisici”, dice oggi con un pizzico di rammarico e la consapevolezza dei 50 anni da poco compiuti, peraltro raccontando le cose con una voce e un eloquio che sarebbero perfetti per ricoprire il ruolo di commentatore tecnico per qualsiasi televisione nazionale.

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Oggi che fa?

“Vivo all’estero, in America, in California. Ormai da 15 anni. Ho una figlia, Francesca, di 11 anni e mia moglie è americana. Ora come ora sono alle Hawaii con la famiglia”.

Dalle cronache quotidiane, la situazione Covid negli Stati Uniti è particolarmente critica.

“Sì, in California c’è stato un semilockdown, con alcune limitazioni. Si poteva andare in giro, i ristoranti aperti solo a determinati orari. Per il resto gli spostamenti erano ridotti al minimo indispensabile. Adesso aspettiamo solo il vaccino. Ci vorrà un annetto prima di tornare alla normalità”.

Alle Hawaii dove si trova attualmente, invece, come si vive?

“Qui è tutto libero. Contagi molto bassi, si sta meglio”.

Il suo lavoro, invece, è rimasto il calcio.

“Ho fatto parecchie cose. Ho lavorato per il Milan in California e in Florida. Poi sono stato direttore tecnico e allenatore del settore giovanile del Real So Cal-SCV. Dal 2014 al 2016 ho fatto lo scout per la prima squadra e per le nazionali giovanili degli Stati Uniti. Nel 2017 divento allenatore nell'Academy nel nuovo MLS Club LAFC Los Angeles Football Club. Nella stagione 2019-20 entro nello staff degli allenatori con le selezioni degli USA under 16 e under 17”.

Conosce abbastanza il calcio statunitense, pare di capire.

“È un territorio che conosco perfettamente, ormai, ho diversi contatti”.

A che punto si è evoluto il calcio americano?

“Il sistema è decisamente migliorato. La lega è organizzata, sono stati costruiti impianti funzionali per il calcio, il pubblico ha superato quello dell’hockey. Anche a livello tecnico ci sono stati dei miglioramenti, ma c’è ancora un gap con le grosse leghe europee e la Champions League”.

Le nazionali, invece?

“Una volta si perdeva facile quando venivamo in Europa. Oggi le partite le pareggiamo o le vinciamo con regolarità. Il livello delle diverse rappresentative è alto. Non a caso in diversi campionati si stanno imponendo tanti calciatori americani. Cito – per esempio – McKennie della Juventus, Pulisic del Chelsea, Giovanni Reyna del Borussia Dortmund. Tutti molto forti. E non ci sono solo loro”.

I calciatori degli Stati Uniti hanno una caratteristica particolare che altri non hanno?

“Non c’è una filosofia di gioco o un calciatore tipico come può esserci altrove. Qui in America ci sono etnie e culture differenti. I giocatori sono strutturati fisicamente, atleti prestanti, professionisti, ma anche con una buona tecnica di base”.

Anche la Roma ha una proprietà a stelle e strisce.

“Sì, ovviamente lo so. Conosco il CEO Guido Fienga e so che il club da qualche tempo ha avviato delle collaborazioni e e delle academy sul territorio americano. Ma non conosco altri dettagli. Decisamente diversa dalla Roma che ho conosciuto io oltre vent’anni fa…”.

Nella stagione 1997-98, la prima di Zeman allenatore.

“Vestire la maglia della Roma fu un sogno arrivare per me, dato che arrivavo in una grossa squadra. Peccato che non sia andata come avrei voluto”.

Che problemi sorsero?

“A livello fisico non andò per il verso giusto. Dal primo giorno di ritiro mi infortunai, poi subentrò una pubalgia di sei mesi che, di fatto, mi condizionò per l’intera annata. A livello tecnico resta un grande rammarico. Forse il peggior anno della mia carriera, in una stagione dove comunque la Roma fece bene tornando a giocare le coppe, qualificandosi in Coppa UEFA”.

Il boemo in panchina che tipo era?

“Con il mister avevo un rapporto buono. Era un allenatore particolare, simpatico, pronto alla battuta. Il suo 4-3-3 era proverbiale, ogni partita avevamo decine occasioni da gol”.

Era anche il primo campionato di Totti con la maglia numero 10 sulle spalle.

“Francesco lo conobbi prima di Roma. Ci incrociammo In Sardegna, in vacanza. In quell’occasione capii quanto era forte”.

Al mare?

“Sì, al mare. D’estate si faceva sempre un torneo di calcetto tra calciatori. Anche nel campo più piccolo si vedevano nitide le sue qualità. Personalità, sicurezza, tranquillità. Aveva tutto. Mai avevo visto un ragazzo di 20 anni a quei livelli. E mai l’ho più visto dopo. Nemmeno da addetto ai lavori”.

"Capii quanto era forte Totti in un torneo estivo in Sardegna"

- Cristiano Scapolo