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Click: Un buon principio


Mio nonno è stato uno di quegli uomini che in ogni Capodanno trovava il momento per dire: “Buona fine e buon principio”

Ogni famiglia ha le sue abitudini, comportamenti che si ripetono anno dopo anno, piccoli riti domestici che sommati tra loro definiscono l’anima di una casa. Nella mia ce n’è sempre stato uno inderogabile: il concerto di Capodanno si guardava.

Cascasse il mondo, mio nonno il 1° gennaio, prima di pranzo, accendeva la tv su Raiuno ad un volume concesso solo per le occasioni importanti (le altre erano le partite, non tutte) e faceva in modo che ci radunassimo spontaneamente attorno alla tv per seguire questo evento che da Vienna emanava in tutta Europa (c’era il cartello dell’Eurovisione a sottolinearlo) questa musica.

Una musica che, ovviamente, negli altri 364 giorni dell’anno, non rientrava nelle nostre abitudini. Così come quell’atmosfera, ma chi c’era mai stato in un teatro così, vestito così, per un’occasione così? Di sicuro non mio nonno, un siciliano trapiantato al Quadraro che a questa mondanità non ha avuto accesso. Eppure quel concerto era il suo concerto, così come di tante altre persone che nella sala del Musikverein di Vienna, insomma, le avrebbero guardate un po’ così.

E così siamo tutti cresciuti imparando a divertirci di cose che all’inizio divertivano solo questi orchestrali e il loro pubblico, e che invece poi capivamo anche noi, abbiamo iniziato a godere delle composizioni della famiglia Strauss così come dei piccoli strappi al protocollo del primo violino, e a sentire l’elettricità della fine che si avvicinava, quando c’era prima Sul bel Danubio blu da fischiettare, e poi il momento più atteso: la marcia di Radetzky.

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Il Direttore, prima di concludere l’evento, dava le spalle all’orchestra e si dedicava alle persone in sala (e, per estensione, a quelle che seguivano da casa) e dirigeva loro, dettando il tempo per il loro battito di mani, offrendo il suo lato più umano, ricevendo in cambio la complicità di chi sa che sta vivendo un momento diverso e a suo modo unico. Quello era il momento speciale, quello che probabilmente aveva agganciato la prima volta l’attenzione di mio nonno, e che poi lo aveva fatto diventare appassionato di tutto il resto.

Crescendo ho capito che la cosa importante non erano né Strauss né gli affreschi dei palazzi di Vienna, ma il fatto che quello era diventato un momento per fare una cosa tutti insieme.

Il bello delle abitudini di famiglia è che sopravvivono a chi le fa diventare tali, e quindi il concerto abbiamo continuato a guardarlo anche solo con nonna, e io ho sempre cercato una tv anche quando il 1° gennaio non ero a casa. Quando ci sentivamo per gli auguri chiedevo: “Nonna, l’hai visto il concerto?”, anche se sapevo benissimo che lo aveva guardato, però era per dirle che sì, lo avevo visto anche io, e tra le righe che no, nonno non c’era più, ma che quella cosa di famiglia continuava. Nonna c’è ancora, la sua memoria se ne sta andando, ma una cosa che non dimentica mai, e per mai intendo mai, di chiedermi, ogni volta che siamo insieme o in ogni telefonata è “Come va la Roma? Come sta in classifica?”, non perché sia davvero tifosa, non so se ha mai guardato una partita per intero, ma perché anche questa era una cosa di famiglia, perché per un siciliano trapiantato al Quadraro sapere come andava la Roma era un modo per sentirsi più di casa.

Ieri, per la prima volta dopo tanto tempo, non ho potuto guardare il concerto, perché ero al Tre Fontane insieme ad altri 2500 romanisti, ed è stato, ovviamente, bellissimo.

Qualcuno è arrivato presto presto, con l’anticipo di quando hai paura di bucare un appuntamento importante, qualcun altro non ha voluto rinunciare al pranzo e cercava parcheggio in piena digestione, qualcuno aveva negli occhi l’emozione della prima volta che vedi la Roma da vicino, qualcun altro quella uguale e contraria di chi l’ha vista tante volte, ma non riesce a farne a meno.

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Se le partite importanti di campionato o di coppa hanno l’aria delle notti speciali, ieri al Tre Fontane c’era l’aria dei giorni speciali, un’emozione senza tensione che non siamo abituati a provare. Se n’è accorta la squadra che non smetteva di salutare i tifosi prima, durante e dopo l’allenamento.

Se n’è accorto anche il mister, che a un certo punto ha fatto una cosa che mi ha fatto venire in mente tutto quello che ho scritto finora, che è il momento catturato nella foto. Proprio come quei direttori d’orchestra, prima di concludere l’evento ha dato le spalle al suo gruppo e si è dedicato al pubblico presente e a quello a casa, offrendo il suo lato più umano, e ricevendo in cambio la complicità di chi sa che sta vivendo un momento diverso, e a suo modo unico.

Lì abbiamo capito che la cosa importante non era stato aver visto un torello o un’esercitazione della difesa, ma essere stati tutti insieme, che avevamo passato comunque un Capodanno in famiglia, che era stato un 1° gennaio che gli uomini d’altri tempi avrebbero definito un buon principio.

Quando sono andato via dal Tre Fontane ho chiamato mia nonna, ci siamo detti un po’ di cose, alcune più di una volta perché erano già state dimenticate nel giro della stessa telefonata, ma due invece ce le siamo dette una volta sola, una lei e una io.

Sì, il concerto lo aveva guardato.

La Roma sta bene, quest’anno speriamo ancora meglio.