"C'è un uomo solo al comando, con 11 leoni al suo fianco, la sua maglia è giallorossa, il suo nome è Gigi Radice". Con questo striscione la Curva Sud celebrò Gigi Radice l’11 marzo 1990. Era un tributo all'allenatore che è scomparso oggi a 83 anni e che per una sola, intensissima, stagione aveva guidato la Roma. In quel momento era chiaro che la sua avventura nella capitale sarebbe finita e il pubblico iniziò un lungo ringraziamento che sarebbe proseguito fino all'ultima giornata ad un uomo che aveva conquistato tutti per le sue doti tecniche e umane. Non era un compito facile, il suo. La Roma era reduce da una stagione difficile che, nel 1989, l'aveva portata a finire fuori dal giro europeo. La prospettiva non era migliore, perché aveva di fronte un'annata da giocare al Flaminio, dato che l'Olimpico era chiuso per i lavori in vista di Italia '90. Erano anni in cui gli incassi erano una parte fondamentale delle entrate e anche il mercato non consentiva colpi dispendiosi. Oltre ai rientri dai prestiti di Paolo Baldieri e Stefano Impallomeni, erano arrivati Giovanni Cervone, Stefano Pellegrini e Antonio Comi (che lo stesso Radice al Torino aveva trasformato da centravanti a libero). Solo due stranieri, con Rudi Voeller che fu raggiunto dal connazionale Thomas Berthold, perché dopo il clamoroso dietro-front dell'olandese Gerald Vanenburg (scelse di rimanere al PSV Eindhoven dopo aver firmato con la Roma), il presidente Dino Viola scelse di non effettuare altri acquisti.
L'arrivo di Radice, peraltro, era stato salutato dalla stampa come un passo indietro per una Società che a lungo, tra Liedholm ed Eriksson, aveva giocato a zona e che ora tornava alle marcature a uomo. Gigi Radice, però, ha le idee chiare: Comi libero dietro allo stopper Berthold e ai terzini Tonino Tempestilli e Sebino Nela. Quattro romani a centrocampo: Lionello Manfredonia, Fabrizio Di Mauro, Stefano Desideri e Peppe Giannini, con Voeller e Rizzitelli in attacco. In panchina Franco Tancredi, Bruno Conti, Pellegrini, cui si aggiungerà Giovanni Piacentini, Manuel Gerolin e i già citati Baldieri e Impallomeni. Radice riesce a portare i tifosi scontenti e i giocatori dalla sua parte. Inizia con due pareggi e alla quarta giornata, dopo 9 minuti, sta perdendo 1-0 con l'Atalanta. Quel giorno nasce la sua Roma: fa 3 gol in 9 minuti, vince 4-1 e a metà secondo tempo il Flaminio esplode in un'ovazione per il suo tecnico.
La sua è una Roma per la quale è bello fare il tifo. "Questa Roma sta a gioca' cor core", si cantava in ogni partita. La squadra a un certo punto raggiunse anche il primo posto. Vinse un derby storico con soli duemila romanisti confinati nei Distinti, superò tante difficoltà (come il malore che pose fine alla carriera di Manfredonia) grazie alla spinta dei tifosi. Indimenticabile il momento in cui, al gol di Desideri che diede la vittoria sulla Juve, il tecnico entrò in campo, avvolto nel suo loden verde per abbracciare Comi e Berthold.
Il Flaminio, che all'inizio era considerato un'handicap, diventò un'arma in più. La Roma ritornò in Europa e ritrovò il calore della sua gente che, così vicina al campo, si faceva sentire in un modo ancora nel cuore di chi ha vissuto quell'annata sia in campo sia sugli spalti. Per questo nel cuore di tutti i romanisti Gigi Radice avrà sempre un posto speciale.
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