È il secondo riconoscimento per l’artista capitolino dopo quello alla carriera del 2007. Tutto è bene quel che finisce bene. Con il collega musicista, Quincy Jones, a consegnargli il premio con una dedica speciale: “Mio fratellino…”. Dunque, un italiano torna a far parlare di sé nel contesto cinematografico più famoso a livello mondiale. Un romano e romanista, soprattutto.
Un tifoso vero, Morricone, non a stagioni per promuovere uno spettacolo. Nel 2012 fece parte della commissione Hall of Fame AS Roma per eleggere gli undici più forti di tutti i tempi. Questa fu la formazione proposta: Tancredi, Cafu, Vierchowod, Brunella (“Brunella era il più forte di tutti, voi che ne sapete”, disse), Rocca, Bernardini, Di Bartolomei, Falcao, Ghiggia, Pruzzo, Amadei.
Tuttavia, non è la prima volta che personaggi o tematiche giallorosse finiscano sul palcoscenico degli Awards. In principio fu Ladri di Biciclette, anno 1949. Struggente pellicola neorealista in bianco e nero di Vittorio De Sica, che si aggiudicò il titolo di “Miglior film straniero”. Non era romanista De Sica e non si conoscono nemmeno le simpatie dei due attori Lamberto Maggiorani e Enzo Staiola. Nel film si fa riferimento a una partita allo stadio Nazionale tra Roma e Modena. “È una buona squadra il Modena?”, domanda il papà Antonio Ricci al figlio Bruno pensando per un attimo di portarlo a vedere la partita per distrarlo, nonostante fossero in giro a cercare la bicicletta rubata, indispensabile per iniziare a lavorare e a guadagnare soldi in un periodo di povertà generale. Il bambino fa “no” con la testa e i due preferiscono andare a mangiare in trattoria. Una delle scene finali del film, inoltre, è ambientata all’esterno dell’impianto in zona Flaminio. Qui è ripreso il deflusso dei tifosi al termine della gara con Antonio che cerca di farsi giustizia da solo rubando a sua volta una bicicletta, ma viene preso di petto poco dopo e accerchiato dai proprietari. L’epilogo non è per cuori sensibili, il piccolo Bruno in lacrime tra le braccia del papà e la disperazione nei loro occhi.
Più recente, meno toccante, ma tagliente per descrivere usi e costumi attuali della Capitale è “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino del 2013. “Miglior film straniero” dell’anno con il regista napoletano che sul palco di Los Angeles cita “Diego Armando Maradona” tra i riferimenti della sua vita. Nella sequenza iniziale al Pincio, però, c’è spazio per un titolo di un giornale sulla Roma: “Allarme per Totti”, è l’apertura della pagina della “rosea” tra le mani di una signora con la sigaretta in bocca.
Infine, ma non in ordine di importanza, Anna Magnani che merita un capitolo a parte. Premio Oscar per “La rosa tatuata” nel 1956. Secondo una corrente calcistica della regione, tifosa della Lazio. Mai stato vero. Pedro Manfredini raccontava di averci giocato a pallone a Piazza del Popolo sul finire degli anni Cinquanta. Ma queste sono leggende metropolitante, riportate da Tonino Cagnucci e Massimo Izzi sul libro “Le 100 partite che hanno fatto la storia dell’AS Roma”. C’è poi un fatto di cronaca che resta e non è contestabile. Nel 1983 Dino Viola, in occasione del decennale della morte dell’attrice, decide di omaggiare uno dei simboli femminili della romanità in occasione della consegna della coppa dello scudetto prima di Roma-Milan 3-1. Al centro del campo Luca Magnani – figlio di Anna – ritira dalle mani del presidente una targa con il seguente testo: “Ad Anna Magnani, artista universale, che nel suo grande cuore ha sempre nutrito la passione giallorossa. La Roma Campione d’Italia dedica il suo ricordo affettuoso”.
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