La nostra rassegna del 2016 prosegue con uno dei momenti più ricchi di soddisfazioni dell'anno giallorosso: lo Scudetto della Primavera.
Jim Pallotta, Presidente AS Roma: “Penso che la Roma sia conosciuta per il buon lavoro che porta avanti con il settore giovanile e la conferma arriva anche dal numero di giocatori in attività in giro per il mondo lanciati da noi. Sui calciatori che potrebbero restare a giocare nella Roma, invece, serve una riflessione più ponderata. Non credo che sia avvenuto abbastanza spesso nel passato, ma sono sicuro che succederà in maniera significativa in futuro per quel che riguarderà il nostro modo di condurre le operazioni di mercato”.
Francesco Vitocolonna, Roma TV: "Che la squadra fosse forte si vedeva da subito, nonostante molti elementi importanti avessero lasciato rispetto al 2015. Ma soprattutto i ragazzi hanno sempre dimostrato di avere un grande carattere, sia in campionato sia in Youth League, dove sono arrivati a un passo dal tornare alle Final Four di Nyon".
Alberto De Rossi, allenatore AS Roma Primavera: “Eppure a novembre 2015 sembrava che le certezze che avevamo sulla nostra squadra si stessero sgretolando, dopo le sconfitte consecutive con Pescara e Palermo. Ma in realtà quelle sono situazioni che si ripetono sempre nella vita di una squadra. Dovevamo voltar pagina per iniziare il 2016 nel migliore dei modi. Quando si perde una partita bisogna portare tranquillità, equilibrio. Servono fiducia, serenità e tranquillità nel gruppo. Solo così si riesce a vincere”.
“Le gare della Primavera sono divertenti da vedere. Sono ragazzi che non subiscono ancora la pressione del calcio professionistico. Si notano i sorrisi e la felicità sui loro volti. La cosa più importante per questi ragazzi è arrivare nei campionati che contano”.
- Jim Pallotta
Alberto De Rossi: “Avevo la sensazione di vincerlo, una sensazione che non mi ha mai abbandonato per tutte le fasi finali. Soprattutto nei momenti più drammatici che abbiamo attraversato. Due sono stati emblematici. In semifinale subiamo un calcio di rigore all’ultimo secondo dall’Inter che pareggia 1-1, dopo qualche minuto battiamo noi il calcio d’inizio del primo tempo supplementare, l’Inter ci ruba palla e segna il 2-1. E poi quello della finale: Marchizza, il nostro rigorista che non aveva fallito un solo tiro dal dischetto in tutta la stagione, sbaglia il penalty decisivo. Beh, in entrambe le occasioni, non so per quale motivo, ero comunque convinto di vincere: dentro di me avevo una tranquillità che non mi ha mai abbandonato. Non so spiegarla, ma alla fine, per fortuna, è andata così.
Francesco Vitocolonna: "Oltre alla finale contro la Juventus, le più grandi emozioni le ho provate nel commentare la semifinale contro l’Inter. Me la ricordo bene: la Roma aveva meritato, era in vantaggio per 2-1 dopo essere stata sotto e non stava rischiando nulla. Io già pensavo alla finale, ma al 90° un errore difensivo ha portato al pareggio dell’Inter su rigore. Al primo minuto dei supplementari ancora gol dell’Inter: 2-3. Dentro di me ho pensato: ‘È finita’. E invece questa squadra ci ha stupito ancora trovando di prepotenza il 3-3 nella ripresa".
Lorenzo Grossi: "La mattina della finale, tra le varie cose che dissi a mio padre al telefono ci fu questa: “Papà mi sento che la partita finirà 1-1, poi andremo ai rigori e io tirerò il terzo”.
"Per tutto il resto della giornata non pensai più a quelle parole: ero concentrato solo sulla partita".
"Siamo arrivati ai supplementari sul risultato di 1-1 e io ero in panchina. A tre minuti dal fischio finale, il mister mi chiamò e mi disse che dovevo entrare subito. Mi sono ritrovato velocemente a bordo campo per la sostituzione".
"Ho giocato solo un solo minuto e appena finita la partita, l’allenatore è venuto da me dicendomi che dovevo continuare il riscaldamento perché mi voleva caldo e pronto per i rigori. In quel frangente ho ripensato alle parole dette a mio padre e ho chiesto di poter battere per terzo. Per un attimo ho avuto i brividi perché si poteva avverare tutto quello che mi ero sentito la mattina: mi sembrava di vivere un film già visto!".
"Quando tornai nella cerchia e ci comunicarono la lista dei rigoristi, purtroppo o per fortuna io non ero il terzo ma il settimo. Era stato deciso di mantenere la stessa sequenza dei cinque rigoristi della semifinale vinta con l’Inter".
"Durante i rigori siamo andati in vantaggio grazie a una prodezza di Crisanto, ma quando è arrivato il quinto rigore, a un passo dalla vittoria, Marchizza ha calciato fuori. Così tutto si azzerò. Non era finita, ma tra di noi era calato il gelo".
“Ai rigori l’ansia era forte. La vivevo da tifoso, ma al tempo stesso dovevo stare attento a quello che dicevo e a rimanere professionale. Conoscendo questi ragazzi sin da piccoli, per ognuno di loro era quasi come se seguissi un figlio battere un rigore.
- Francesco Vitocolonna
Alberto De Rossi: “Prima di una finale bisogna avere una grande sensibilità nel fare il discorso alla squadra. Come succede con i grandi, troppa responsabilità fa male, ma poca porta comunque a effetti negativi. Serve equilibrio, consapevolezza dei propri mezzi e far rivedere ai ragazzi le immagini della stagione, per dar loro certezze".
"Devono capire perché sono arrivati fino a quel punto. Poi è necessario passar loro un messaggio: tutte le squadre che sono lì sono forti, sono le più forti. Qui si vince solo in una maniera: fare gruppo e sostenere il compagno”.
Francesco Vitocolonna: “Con l’Inter li abbiamo segnati tutti. Anche in finale con la Juventus stavamo andando bene, fino al quinto rigore, in cui Marchizza poteva già regalarci lo Scudetto. Non ne aveva sbagliato uno durante l’anno. Ero tranquillo, ho visto che aveva spazzato il portiere ed ero pronto a esultare. Poi ho visto il pallone uscire ed ero incredulo".
Lorenzo Grossi: "A oltranza e segnarono Zappa per la Juve e Bordin per noi".
Francesco Vitocolonna: “Se devo dire il rigore in cui ho sofferto di più, dico il sesto, quello di Bordin. In quel momento era la Juventus a essere in vantaggio: tutto si era improvvisamente ribaltato e la pressione su di lui era altissima. Ha segnato e ricordo il mio ‘Sì! Sì! Sì!’ liberatori. Prima che calciasse Grossi ero abbastanza tranquillo, era di nuovo il nostro momento, ma stavolta ora o mai più".
Lorenzo Grossi: "Quando poi arrivò il momento del settimo rigore loro ho sentito su di me tutto il peso di quella finale. Ma Crisanto parò con il piede: in quel momento mi sono sentito più leggero: il mio poteva essere il rigore Scudetto".
"Incamminandomi verso il dischetto, passo dopo passo, sentivo solo le voci dietro di me dei miei compagni che mi incitavano e quelle dei tanti tifosi giallorossi che erano venuti a sostenerci a Reggio Emilia".
"Raccolsi il pallone e pensai che in fondo era solo un rigore ma che valeva una stagione intera. Undici metri tra me e il portiere e in fondo al sacco il tricolore. Ho preso la rincorsa, ho guardato il portiere per un attimo poi ho fissato solo il pallone in attesa del fischio dell'arbitro. Volevo calciare forte ma uscì un tiro non angolatissimo. Il portiere ha intuito la traiettoria ma il pallone gli è passato sotto le braccia. Prima di esultare mi bloccai un attimo per la paura che il pallone non entrasse, ma quando poi toccò la rete la mia gioia è esplosa in una corsa sotto la tribuna dove c’era la mia famiglia. Eravamo campioni d'Italia!".
"Non è stato un rigore perfetto ma è entrato e lì finalmente mi sono potuto lasciare andare”.
- Francesco Vitocolonna
Lorenzo Grossi: "Quella notte, dopo i festeggiamenti non sono riuscito dormire. Mi sentivo caldissimo, come se avessi la febbre. Così, con il mio compagno di stanza Romagnoli, a tarda notte sono sceso e ho trascorso del tempo con i membri dello staff che erano ancora svegli. Non riuscivo a smaltire tutte le emozioni e a realizzare l’obiettivo che avevamo raggiunto".
Umberto Gandini, AD AS Roma: "Ovviamente il nostro fiore all'occhiello delle giovanili è la Primavera, categoria nella quale siamo Campioni d’Italia in carica. Abbiamo un ottimo sistema di formazione, una struttura molto chiara che permette a ogni allenatore di seguire gli stessi schemi in tutte le età, arrivando a produrre un grande numero di giocatori. Il problema, così come accade in molti altri club italiani, è che quando arrivano a 19 anni alla fine della Primavera, per molti di loro è ancora troppo presto per fare il salto di qualità in Serie A".
"Sono pochi quelli che ci riescono, ma non tutti sono al livello dell’AS Roma. Perciò, dobbiamo cederli in prestito a club più piccoli e fargli fare esperienza, alcuni di loro non sono ancora pronti dopo quel passo e devono andare in categorie minori. Ogni anno si producono 10, 12 o 15 giocatori e forse uno o due tra loro possono essere professionisti da Serie A, mentre il resto fiorirà più avanti e avrà quindi bisogno di tempo per crescere. È questo il problema del sistema italiano: dovremmo avere un’altra squadra tra la Primavera e la prima squadra. Ci piacerebbe averne una Under-21 o una seconda squadra che possa giocare in divisioni inferiori ma sempre sotto il nostro controllo. Un po’ come succede in Spagna, in Inghilterra o in Germania, in cui si può mantenere il controllo dei giocatori, gestendo il loro sviluppo secondo le proprie regole".
Alberto De Rossi: “Il 2016 da questo punto di vista è stato un anno ricco di soddisfazioni. Verso la fine del 2015 c’era stato già l’esordio di Soloeri e l’exploit di Sadiq. Poi, a Chievo-Roma, è arrivato l’esordio di Di Livio e Tumminello, mentre nella stagione in corso Spalletti ha lanciato in campo anche Marchizza".
"La partita di Verona fu un’emozione dietro l’altra. In quei casi l’allenatore di un settore giovanile osserva ogni dettaglio, è un tumulto interiore, speri che il giovane non faccia un errore, vivi la partita da tifoso della Roma e da tifoso del ragazzo. A fine gara, poi, arriva la soddisfazione professionale, se il ragazzo è arrivato là sei contento di aver risposto positivamente a quello che la Società crede: formare giocatori per la prima squadra. Quando un giocatore fa il suo esordio per noi è davvero tanta roba, per tutti gli allenatori che hanno accompagnato quel ragazzo nel suo percorso nelle giovanili”.
Umberto Gandini: "Oggi si può avere un giocatore molto talentuoso che fa tutta la trafila di un club qualsiasi e poi, all’improvviso, si ritrova a seguire un regime di allenamento, preparazione fisica e nutritivo completamente diverso, per non parlare dello stile di gioco. Questo crea dei seri ostacoli alla crescita di un ragazzo, ma è una situazione che dobbiamo saper gestire. D’altro canto, sono molti i fattori che riguardano l’approdo di un diciannovenne in prima squadra. Nel nostro club, per esempio, c’è Seck, poi ci sono Ricci e altri che giocano nel Sassuolo. Dobbiamo vendere alcuni di loro perché hanno bisogno di giocare e non vogliono perdere tempo rimanendo nel nostro club, anche se uno o due tra questi possono essere talvolta utili per la squadra. Dobbiamo capire che i ragazzi non vogliono sprecare le loro opportunità: hanno bisogno di giocare, devono farsi vedere e devono mettersi alla prova per poi diventare giocatori professionisti dell’AS Roma. Spero che alcuni di loro possano tornare presto per rivelarsi poi colonne portanti della nostra squadra”.
Jim Pallotta: “Abbiamo fatto un grande sforzo negli ultimi anni per rinnovarci, seguendo i consigli di persone che fanno parte della Roma e lavorano per noi da anni. La cosa fondamentale in questi casi è l'organizzazione: abbiamo lavorato in tal senso in questi ultimi anni, grazie ai loro consigli e alla loro leadership e ora i risultati sono tangibili".
“Se prendiamo in considerazione tutti i livelli, non solo la Primavera, ma anche i ragazzi di 12 e 10 anni si percepiscono l’ottima struttura e l’organizzazione a supporto del loro talento. Siamo indiscutibilmente i primi o i secondi per settore giovanile in Italia e credo che questo sia solo l’inizio”.