Lo ha avuto come compagno di squadra per quattro anni e una stagione come Team Manager. Chi meglio di Damiano Tommasi può raccontarci Eusebio Di Francesco?
Che compagno di squadra era Di Francesco quando giocavate insieme nella Roma?
“Noi abbiamo vissuto assieme l’epoca di Zeman in cui ci chiamavano i gemelli di centrocampo e, a distanza di quasi 20 anni, ci chiamiamo ancora “gemello” l’un l’altro quando ci sentiamo al telefono. Abbiamo un rapporto molto stretto. Eusebio è una delle due persone, insieme a Stefano Fattori capitano dell’Hellas Verona ai miei esordi, che è stato un riferimento per me nel mondo del calcio e lo è tuttora. Il periodo in cui abbiamo giocato insieme alla Roma è stato il suo momento migliore da giocatore ed è anche riuscito a vestire la maglia della Nazionale. Il gioco di Zeman lo esaltava e da lì deriva il suo modo di interpretare il calcio da allenatore. Probabilmente Di Francesco poi ha apportato anche qualche modifica migliorativa al gioco di Zeman, mantenendo i principi di inserimento che poi erano propri del modo di giocare che identificavano Eusebio da giocatore”.
Già quando eravate compagni di squadra pensavi che Di Francesco sarebbe potuto diventare un allenatore ad alti livelli?
“Aveva un modo di interpretare lo spogliatoio in maniera particolare, nel senso che si sentiva la sua presenza, a prescindere dal fatto che lui fosse titolare o meno. Eusebio a quel tempo sapeva già valorizzare e interpretare il gruppo come qualcosa che va oltre l’aspetto di gioco sul campo. Credo che nell’anno in cui vincemmo lo Scudetto nel 2000-01 con Capello in panchina si sottolineò poco l’apporto allo spirito di squadra che alcuni giocatori come lui, che in quella stagione, in cui tra l’altro si infortunò, giocarono meno. Lui contribuiva sempre ad alzare il livello dell’allenamento e così le prestazioni di tutti. Di Francesco è stato molto importante per la vittoria del titolo e ha contribuito a suo modo a rendere vincente quel gruppo”.
Poi c’è stata l’esperienza di Eusebio come Team Manager nella stagione 2005-06, prima che lui iniziasse la carriera da allenatore…
“Sì, quel ruolo gli è servito come step intermedio prima di intraprendere la carriera da allenatore, forse gli ha permesso di capire che quella situazione di Team Manager gli era stretta e non esaltava a pieno le sue capacità di leadership. Infatti dopo quell’anno fece esperienze dirigenziali in realtà più piccole, in cui affinò le sue capacità di interpretare lo spogliatoio e le sue doti di leadership”.
Poi ha iniziato la sua carriera da allenatore vera e propria: dacci un giudizio sulla sua ascesa di tecnico…
“Per assurdo l’ho seguita fin dall’inizio, perché lui subentrò ad allenare il Pescara nel 2010 e lo portò in B battendo nei play-off la mia ex squadra, l’Hellas Verona. Credo che poi abbia trovato la sua dimensione di serietà professionale al Sassuolo che, nonostante l’esonero momentaneo nella sua prima esperienza, nel tempo gli ha dato quelle soddisfazioni che meritava. È un bel mix quello che si è creato in Emilia, tra la serietà della società e la professionalità di Eusebio nel costruire la squadra, scegliendo giocatori di un certo tipo e mettendoli in campo in un modo a lui congeniale. In questo senso è un allenatore che dà delle garanzie. Ovviamente la Roma sarà un banco di prova anche per lui, perché gli obiettivi nella capitale si alzano come è giusto che sia per un allenatore in ascesa come lui. Ed è giusto misurarsi con nuove avventure e traguardi più importanti. Sicuramente a Roma ci sono aspettative sportive diverse come club e dinamiche della città e dei tifosi diverse, con cui Eusebio dovrà confrontarsi, ma credo che lui abbia fatto una sana e giusta gavetta e ora si trovi a fare lo step giusto al momento giusto”.
Quanto può essere di aiuto il fatto che già conosca l’ambiente?
“È un vantaggio di sicuro. È un vantaggio già nella scelta, perché chi conosce l’ambiente e sceglie Roma vuol dire che sa a cosa va incontro e quali sono le dinamiche con le quali ti vai ad interfacciare. A parte la bellezza dell’ambiente si conoscono quindi anche le difficoltà a cui si va incontro e tutto sta a vedere se le soluzioni che si hanno in mente sono quelle giuste. Ma chi già ci è stato ha sicuramente delle carte in più dal suo mazzo per trovare queste risposte”.
Di Francesco ha sempre valorizzato i giovani nelle sue esperienze, in particolare al Sassuolo: questa potrebbe essere una tendenza che potrebbe ripercorrere anche con la Roma?
“È più difficile farlo in un club blasonato come la Roma, anche se ha un’ottima tradizione in questo senso con il suo settore giovanile. A riguardo qui sottolineo che è un po’ la mentalità italiana che ha lacune in questo campo, nel senso che si tende a trascurare le potenzialità dei giovani che crescono in casa. Sicuramente c’è da fare un cambio culturale nel Paese, ma alla Roma, che ripeto ha storicamente un settore giovanile importante, forse potrebbe giovare da questo punto di vista anche l’arrivo di Monchi che in Spagna ha insistito molto sull’inserimento graduale dei giovani in Prima Squadra. Vedremo se con l’arrivo di Monchi si possa trovare una giusta quadratura a questo cerchio, mixando questa tendenza ovviamente alle aspettative alte di un club come la Roma”.
Come pensi imposterà la sua Roma Di Francesco?
“Sicuramente l’impostazione, l’idea di gioco e dei movimenti, saranno quelle che ha fatto vedere nel Sassuolo. Ma Eusebio non è quell’integralista che adatta i giocatori al proprio modulo. Sa gestire i giocatori che ha ed è in grado di metterli nelle condizioni di rendere al meglio anche a discapito del modulo. A lui non piace sicuramente imbrigliare e ingessare la squadra”.