Chi è stato il tuo primo idolo da bambino?
“Sempre i portieri, perché erano vestiti diversamente rispetto agli altri giocatori. Quando ero piccolo non avevamo la TV a colori e le maglie dei portieri erano a maniche lunghe, più chiare e con i pantaloncini neri. Durante il periodo del Comunismo potevamo vedere solo il derby Steaua-Dinamo Bucarest: io tifavo per la Dinamo, mentre mio padre tifava Steaua. Il portiere della Dinamo era Dumitru Moraru. Anni dopo è stato il mio preparatore in nazionale. Quando sono cresciuto e giocavo nelle giovanili il mio idolo era Peter Schmeichel: mi piaceva tantissimo”.
Hai praticato altri sport prima del calcio?
“No sempre e solo calcio, sin dall’ultimo anno di asilo. Andavo con mio padre, anche lui era calciatore e gli chiedevo sempre di farmi i tiri. A volte quando mi segnava ‘rosicavo’ e piangevo. Io ho sempre fatto il portiere, mentre mio padre era terzino destro”.
Cosa ricordi del tuo debutto?
“Nella serie B romena ho esordito una stagione nel Corvinul Hunedoara, la squadra della mia città. Da un giorno all’altro il primo portiere non si presentò più. L’allenatore scelse me tra altri due. Le porte erano ancora di legno. Dopo 20 minuti avevo preso già due gol, ma la partita finì 2-1.
Tra i professionisti ho esordito nel 1997 nel Rapid Bucarest in un match di Intertoto contro l’Odra Wodzislaw, una squadra polacca. Dopo una settimana dal mio arrivo l’allenatore mi disse: ‘Ragazzino, giochi tu’. Si era preso la responsabilità davanti al presidente di puntare su di me e io dopo pochi minuti presi con le mani un retropassaggio con i piedi! Ma alla fine la partita è andata bene, abbiamo vinto 4-2 e la mia carriera è partita”.
Qual è la gara che ricordi con più piacere?
“Quella contro l’Olanda in casa nelle qualificazioni per Euro 2008. Abbiamo vinto in casa 1-0, una gara molto sofferta. C’era brutto tempo e quella vittoria fu un passo importante per partecipare agli Europei. Anche oggi, quando ho la possibilità mi riguardo quella partita”.
Chi è l’avversario più forte che hai incontrato?
“Tanti. Ho avuto la fortuna di incontrarne tanti: Maldini, Costacurta, Shevechenko… Ho incontrato il Milan nei quarti di finale della Champions League del 2002-03. Nello stesso anno avrei potuto giocare contro Checco (Totti) nel secondo girone, ma io mancavo all’andata, lui al ritorno. Però ci ho giocato contro in nazionale. Un altro grande calciatore che ho affrontato è Alessandro Del Piero: mi piaceva tantissimo”.
Il compagno più forte con cui hai giocato?
“Chivu, sia all’Ajax sia in nazionale. Ci conoscevamo come le nostre tasche. Bastava una sguardo e capivamo cosa dovevamo fare”.
Qual è la persona che ha avuto la maggiore influenza sulla tua carriera?
“Su tutti mio padre: è sempre stato molto esigente con me e lo ringrazio per questo. Se non fosse stato per lui che mi stimolava continuamente non sarei arrivato fin qui. Anche tutti gli allenatori che ho avuto sono stati importanti. Ho avuto anche la fortuna di lavorare con Mircea Lucescu prima di passare per sei anni all’Ajax e anche sono in una grande Società con uno staff che mi permette ancora di scoprire e imparare cose nuove”.
Qual è lo stadio più bello in cui hai giocato?
“L’Amsterdam ArenA. Era uno spettacolo entrare in campo: una partita in mezzo allo spettacolo. Tutte le bandiere bianco e rosse che sventolavano a ritmo con l’inno nel pre partita: bellissimo. Un altro bello stadio in cui giocare è il De Kuip di Rotterdam. Lasciamo stare quello che è successo quando ci abbiamo giocato con la Roma nel 2015: sapevo quello di cui sono capaci, quando ci andavo con l’Ajax c’era sempre un’atmosfera di tensione”.
Qual è l’aspetto più bello dell’essere un calciatore?
“È semplicemente la cosa più bella che c’è al mondo, il più bel mestiere che esista. Noi calciatori dobbiamo ringraziare Dio che ci ha dato la possibilità di fare questo lavoro. È vero che ci sono molte pretese, sin da quando si è giovani, ma per questo è fondamentale l’equilibrio, da tutti i punti di vista. Saperlo trovare è difficile, ma lavorandoci sopra si può imparare a gestire tutto”.
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