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    Historic XI: la prima vittoria della Roma di Fabio Capello e Vincenzo Montella


    Anzi, sul rapporto dei due s’è scritto e detto tanto nel corso del tempo. E qualche bottiglietta è volata pure a favore di telecamere. Capello e Montella sono gemelli per segno zodiacale, essendo nati entrambi nello stesso giorno, il 18 giugno. Nel 1946 il friulano, nel 1974 il campano.

    Ma sono gemelli anche per un altro fatto, rintracciabile in un tabellino del 16 settembre 1999. La partita è di Coppa UEFA, primo turno di andata, allo stadio Olimpico. La nuova Roma dell’allenatore di Pieris, con il Lupetto sulle spalle e – nell’occasione – in pantaloncini neri, debutta nella competizione europea contro i portoghesi del Vitoria Setubal.

    I giallorossi sono alla terza partita stagionale, dopo le prime due giornate di campionato. Due pareggi: all’esordio assoluto in trasferta a Piacenza (1-1) e in casa con l’Inter (0-0). Gara, quest’ultima, passata alla storia soprattutto per il cambio di guardia del tifo nella parte bassa della Curva Sud. Di fatto, con il Vitoria Setubal, è la prima partita senza il Commando Ultrà Curva Sud al suo posto. Lo striscione del CUCS non è più presente. Dal 1977, e per ventidue anni, il Commando era stato l’epicentro del tifo organizzato romanista. E non solo romanista. Un vanto da esibire “in Italia, nel mondo e in Europa”.

    Capello e Montella, però.

    Al tecnico, alla prima stagione sulla panchina capitolina, manca la vittoria numero uno da allenatore sulla nuova panchina. Il centravanti, pure lui ingaggiato in estate, deve ancora scrivere il suo nome sul tabellino dei marcatori. Ecco l’occasione. La Roma non solo vince, ne fa 7.

    Il tecnico si gode la soddisfazione, l’attaccante decolla con l’aeroplanino come non aveva potuto fare in precedenza con la nuova maglia. I nati il 18 giugno saranno due architravi del terzo scudetto.

    Per il resto della cronaca, l’hombre del partido contro i lusitani è un altro: Dmitri Alenitchev, fantasista russo, protagonista con una tripletta. Le altre reti sono di Aldair (capitano nell’occasione), Marcos Assuncao e Marco Delvecchio. Anche per Assuncao, centrocampista arrivato dal Santos, con la “camiseta” numero 5 da volante brasiliano, come un “Divino” predecessore, si tratta del primo timbro nella Roma.


    Ma scorriamo tutta la formazione schierata da Fabio Capello in quella serata.

    Francesco Antonioli: portiere di rendimento, regolare, mai emotivo. È il numero 1 campione d’Italia nel 2001, nonostante le diffidenze ambientali e anche qualche errore da parte sua. 145 gare con la Roma dal 1999 al 2003.

    Alessandro Rinaldi: difensore romano, nato al Quadraro, ma cresciuto calcisticamente lontano dalla Capitale. La Roma lo preleva dal Bologna, insieme a Antonioli e Mangone. Anche lui campione d’Italia nel 2001. In due stagioni, dal 1999 al 2001, 44 presenze e 1 gol. Oggi ha cambiato vita, si occupa di alta orologeria.

    Aldair: simbolo e leader della Roma per tredici anni. Rappresentante fiero sempre. Di una squadra più umile negli Anni 90 e di quella campione d’Italia del 2001. 436 presenze, 20 gol.

    Antonio Carlos Zago: aristocratico e popolare. Aristocratico palla al piede, nelle uscite dalla difesa, popolare nei contrasti con gli attaccanti avversari. Senza mai concedere alcun complimento. 138 presenze e 2 gol tra il 1998 e il 2002.

    Cafu: probabilmente il miglior interprete di terzino destro nella storia della Roma. Se non il più forte, tra i primi due. Dal 1997 al 2003, 218 presenze e 8 gol.

    Damiano Tommasi: “Gioca bene o gioca male, lo vogliamo in Nazionale”. Inizialmente, era un coro nato quasi per ironizzare sulle sue doti tecniche non eccelse. Col tempo, poi, è diventato titolare e leader indiscusso. Soprattutto nell’anno dello scudetto. Un 17 che portava fortuna e vittorie. 351 gare, 21 reti.

    Marcos Assuncao: centrocampista ordinato, non velocissimo, ma particolarmente abile nelle soluzioni balistiche sui calci da fermo. Pochi passi di rincorsa e palla sotto al sette. È successo spesso. Un giornale glielo lo chiese pure in prima pagina: “Assunçao, come fai?”. 83 partite, 10 reti.

    Vincent Candela: degno erede di una dinastia di terzini sinistri romanisti del calibro di Francesco Rocca, Sebino Nela, Aldo Maldera. Lui era diverso da tutti questi, era meno veloce, meno potente, ma trattava la palla da fuoriclasse. Quale era. 289 partite, 16 gol.

    Dmitri Alenitchev: arrivato nel 1998 dalla Russia per dare qualità al reparto della mediana di Zeman, non trovò mai un posto da titolare semplicemente perché non aveva i polmoni di Di Francesco e Tommasi. Con Capello agì da trequartista, andando meglio, ma a gennaio 2000 passò al Perugia per Nakata. Nel 2004 vince la Champions con il Porto, segnando in finale.

    Vincenzo Montella: il 9 della Roma per tante stagioni, nonostante non avesse la stazza dei bomber “pesanti”. Personalità spiccata, a tal punto da non concedere il numero di maglia a Batistuta nel 2000. Giocarono insieme e fu scudetto. Un Romario nato a Pomigliano D’Arco. 258 presenze, 102 gol.

    Marco Delvecchio: “Sono un romano nato a Milano”. Per la Roma ha fatto tutto. L’attaccante d’area di rigore e l’attaccante di fascia equilibratore. Avrebbe potuto decidere la finale di dell’Europeo del 2000, se Cannavaro avesse anticipato Wiltord all’ultimo istante di gara. Poi, nella Roma è diventato campione d’Italia nel 2001. 300 gare, 83 reti.