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    Mourinho: “Vogliamo tanto giocare questa finale”


    José Mourinho ha parlato in conferenza stampa a Trigoria nell’ambito del UEFA Media Day, a sei giorni da Siviglia-Roma, finale di Europa League.

    Ecco le parole del tecnico giallorosso.


    Zalewski ha detto che c’è da ringraziare lei per il fatto che giocherete un’altra finale. Lei si sente l’artefice principale del percorso di questi due anni?

    “Se i giocatori ringraziano a me, io ringrazio loro. Siamo insieme. Siamo sempre stati insieme. Magari Nicola diventa un po’ più emozionale, due anni fa giocava in Primavera, poi gioca una finale, fa il Mondiale con la Polonia, poi fa un’altra finale. Per lui è una crescita importante”

    Di finali ne ha preparate tante da allenatore. Oggi siamo a meno sei dalla gara di Budapest, qual è l’aspetto più complicato da gestire nell’avvicinamento? E quale quello più facile o meno complicato?

    “Il più difficile è la partita di sabato. Devo lasciare fuori giocatori che hanno piccoli problemi. Non si può rischiare. Quello è difficile. Andare con una squadra solo di bambini è un rischio esagerato e non è neanche positivo mettere i bambini in questa situazione.

    La Fiorentina ha 25 giocatori dello stesso livello, sicuramente giocheranno quelli che non hanno giocato ieri. Saranno freschi, saranno motivati. La cosa ideale sarebbe non giocare sabato e preparare solo sulla finale. La cosa più facile è che vogliamo tanto giocare questa finale. Quando domenica mattina arriveremo qua sarà molto facile avere la gente motivata, concentrata, felice. Questa è la grande facilità”.

    Ci sono tante speculazioni che si fanno sul suo futuro, c’è anche un po’ di pessimismo in città. Vincere questo trofeo avrà un peso sul suo futuro a Roma? 

    “Il mio unico focus è la finale. Un pochino la preparazione della partita con la Fiorentina. Un pochino. Il mio focus è la finale, niente più. Il mio futuro e il resto sono secondari quando giochi una finale. Non c’è motivo per pessimismo, non c’è motivo per ottimismo. Non c’è motivo per niente.

    Vogliamo tanto giocare questa finale. Abbiamo fatto tanto per stare in questa finale, abbiamo faticato molto, che vogliamo giocare. Sarà facilissimo prepararla, vogliamo giocare. Non c’è nemmeno quella cosa che se vinciamo facciamo la Champions. Non voglio sapere nulla, di Champions o classifiche, vogliamo giocare la finale. Abbiamo fatto 14 partite.

    Siamo andati a giocare con il Ludogorets e siamo tornati qui alle 7 del mattino. Siamo andati a Helsinki che faceva un freddo da morire. Siamo andati a Siviglia con il Betis con il rischio di essere eliminati in caso di sconfitta. Siamo andati a Salisburgo, che veniva dalla Champions. Siamo andati a giocare con la Real Sociedad, che ha fatto una stagione top in Spagna. Abbiamo perso giocatori, giocatori, giocatori, abbiamo fatto giocare calciatori in posizioni non loro, abbiamo messo un ragazzino come Bove giocare da titolare due partite di semifinale. Troviamo il Leverkusen, altra squadra che viene dalla Champions.

    Adesso, siamo là. Siamo là e vogliamo giocare. Vogliamo i romanisti come noi. Super felici di stare lì. Super felici di giocare quella finale. Spero e mi fido che tifosi del Siviglia e della Roma possano vivere un gran bel giorno lì a Budapest. E vogliamo giocare. Da quando Tylor fischierà l’inizio, vogliamo giocare e dopo si vedrà”.

    Lei ha appena sottolineato quanto sarebbe importante cogliere questa occasione, godersi questa finale, insieme alla sua tifoseria. Davvero ci colpisce vedere, dopo quello che in due anni ha fatto in questo Club, l’affetto che lei riceve dai suoi tifosi. 

    Essere allenatore significa anche comprendere una componente emotiva. Ogni volta che lei lascia un club, lo fa vincendo dei titoli. Lascia anche una parte di cuore e di sé. Fare l’allenatore significa anche questo?

    “Spero che le mie parole non vengano interpretate male dai tifosi del Tottenham per il quale non sento un legame forte e stretto. L’unico Club è proprio il Tottenham. Probabilmente perché lo stadio era vuoto per il Covid. Probabilmente perché il presidente Levy che non mi ha dato la possibilità di giocare una finale che avevamo conquistato. Però negli altri club, Porto, Chelsea, Inter, Manchester United, c’è sempre stato questo legame, questa connessione forte tra noi. Girando per l’Italia incontro tifosi dell’Inter dappertutto che mi salutano con affetto. Uguale a Londra con quelli del Chelsea.

    In giro per il mondo i tifosi del Real Madrid. La gente non è stupida, capisco che do tutto, non è soltanto una questione di vincere o non vincere titoli. Qui a Roma è un po’ questo. Non è soltanto aver vinto un titolo europeo e ora aver raggiunto un’altra finale. Ma il tifoso percepisce che ogni giorno lavoro e lotto per loro. Qualcuno magari potrà sorridere quando dico che sono madridista, interista, romanista perché si dice che non si possono amare tutti questi club, invece nel mio caso è proprio così. Questo tipo di affetto è sempre stato ricambiato e reciproco. Sicuramente, con la Roma, quando dovesse arrivare quel giorno non sarà facile, ma nessun problema perché saremo per sempre legati. Così come lo sono con le altre squadre in cui ho allenato, tranne il Tottenham”.

    Mister Mourinho, cinque finali europee, cinque vittorie. 20 anni dalla prima finale raggiunta con il Porto, quanto è cambiato da allora?

    “Sono diventato un allenatore migliore, una persona migliore, stesso DNA. E nel DNA ci metto la motivazione, la felicità, la voglia di vincere in questi momenti. Tutti valori che cerco di trasmettere ai miei giocatori. Non voglio tensioni, pressioni, ma semplicemente il piacere di giocare questa finale, di ricordarsi il percorso, il cammino che si è fatto per arrivare a giocare queste partite. E poi il lavoro dell’allenatore è diverso da quello dei giocatori.

    L’allenatore migliora con il passare del tempo, con l’esperienza. Il giocatore ha bisogno del proprio corpo, che non risponde allo stesso modo a 30 o 40 anni. L’allenatore, invece, con il suo cervello diventa sempre più acuto, affilato, si accumulano conoscenze ed ecco che quando si perdono motivazioni bisogna fermarsi e smettere. Ma non è il caso mio, le motivazioni crescono con il tempo”.

    In questa stagione si è parlato spesso del rapporto turbolento della panchina con gli arbitraggi, 13 sono state le espulsioni. Tu fai il tuo lavoro, sei stato espulso uno o due volte, ma sei José Mourinho, uno degli allenatori che ha fatto la storia del calcio. Probabilmente quando ti rapporti con gli arbitri, c’è un rapporto di altro tipo. 

    Intorno a te ci sono persone che, obiettivamente, per la grande massa della gente sono sconosciute. Il giorno in cui non ci sarai più tu saranno probabilmente dimenticate. Volevo chiedere, è indispensabile avere questo tipo di rapporto così aggressivo con gli arbitri? È giusto? O è diseducativa, dato che quando si leggono le motivazioni, troviamo parole come blasfemia, bestemmie. Altra cosa, è diverso relazionarsi con arbitri italiani invece che stranieri?

    “È un bel discorso, però preferisco non rispondere…”.

    Tre giorni fa ha detto che Paulo Dybala stava male. Sono passati tre giorni e non l’abbiamo visto in campo. Può giocare a Budapest?

    “Non è che si stanno allenando in segreto, eh… Purtroppo non è così. Onestamente, penso di no. Però anche onestamente ho la speranza che una panchina possa farla. Considerato che sarà l’ultima partita della sua stagione, pensando a lui possiamo dire così, magari può andare in panchina e aiutare.

    Con il Feyenoord eravamo fuori dalla competizione, ha segnato il gol che ci ha portato ai supplementari. Se Paulo può stare in panchina e dare 15-20 minuti del suo sforzo, io sarei già contento. Per questo motivo non dico che Paulo non ci sarà mercoledì. Però òa verità è quella che tu hai visto. C’era un gruppo che stava lavorando. E un altro gruppo su un campo diverso con Spinazzola, Karsdorp che faceva individuale e non c’è Paulo. Paulo è di là nel dipartimento medico. Non c’è segreto. Non c’è niente”.

    Ma cosa è successo, però? In altre partite è stato convocato e ha anche giocato alcuni spezzoni.

    “Perché abbiamo provato. Quando tu pensi ad una finale, pensi alla preparazione della finale. Io ho sempre pensato che contro la Salernitana, Paulo potesse giocare un tempo. Che prima a Bologna potesse giocare qualcosa. A Leverkusen la partita è andata in una direzione in cui Paulo non ha giocato. Abbiamo pensato che potesse aiutarlo. Non ha aiutato.

    Si sta cercando di fare tutto. Per la verità è che è fuori. Sabato non va. Non c’è storia. Pellegrini non va sabato, ma sarà recuperato mercoledì. Paulo non va sabato. Era importante per lui giocare una mezzoretta, provare, toccare palla. Non può. Non può farlo. Non può. Tu puoi correre una maratona? Io neanche in bicicletta”.

    Lei mi risponderà che dovete giocare prima, ma ci provo lo stesso. In caso di vittoria di questa coppa, sarebbe la più grande impresa della sua carriera? Anche superiore rispetto a quelle con il Porto e con l’Inter?

    “Tu hai ragione, dobbiamo giocare. Non mi piace parlare prima. Mi piace giocare. Mi piace giocare tanto. Peccato che non si possa giocare una finale ogni settimana. Però non sto pensando a me stesso. Sto pensando ai giocatori e sto pensando ai tifosi.

    Mi piacerebbe tanto aiutare i giocatori a prendere questa gioia che sarebbe infinita. E ai tifosi. E i giocatori cercano di prendere quello che i tifosi si aspettano da noi. Questo è. Parlare poco e ripetere quello che non mi stanco mai di ripetere anche con i giocatori. Vogliamo giocare. Vogliamo giocare. E vogliamo giocare. Mercoledì, saremo lì”.