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La prima intervista di José Mourinho da tecnico della Roma


Dopo l'annuncio del 4 maggio, ecco le prime parole dell'allenatore portoghese come nuovo Responsabile Tecnico della nostra Prima Squadra

Lo scorso 4 maggio, la Roma ha annunciato di avere affidato la guida della Prima Squadra a José Mourinho.

Oggi il leggendario tecnico portoghese è finalmente sbarcato nella Capitale. Ecco la sua prima intervista da allenatore giallorosso.

José Mourinho, benvenuto alla Roma innanzitutto!

“Grazie mille”.

Quanto sei entusiasta di questa nuova sfida?

“Sono entusiasta sin dal primo giorno. E sono sincero quando dico sin dal primo giorno. Quando il primo giorno ho incontrato la proprietà e Tiago Pinto, ho avuto subito delle sensazioni molto positive. E questo significa molto per me.

Il mio entusiasmo, ovviamente, si basa sulle conversazioni che abbiamo avuto, sulle idee che ci siamo scambiati, ma anche su qualcosa a cui io do molto valore: le sensazioni umane. L'empatia. Sin dal primo giorno ho avuto voglia che arrivasse il vero primo giorno, cioè il giorno in cui sarei arrivato a Roma”.

Sono state quelle "sensazioni umane" che ti hanno convinto che per te era l'opportunità giusta al momento giusto?

“Sono state le sensazioni umane, ma anche le idee, le informazioni, le domande e le risposte di entrambe le parti. Dopo il primo colloquio ho avuto la sensazione che questo non è il progetto dei Friedkin, non è il progetto di José Mourinho, non è il progetto di Tiago Pinto, questo è il progetto dell'AS Roma. È questo che ho pensato. Ed è qualcosa che mi ha colpito particolarmente. Perché, com'è noto, nella mia carriera ho avuto diverse esperienze e ho lavorato in club con situazioni simili a questa, con una proprietà straniera, mettiamola così.

E sono stato colpito dal fatto che il signor Friedkin e suo figlio Ryan parlassero in continuazione dei tifosi della Roma. Non parlavano di loro, non parlavano del progetto, parlavano dei tifosi. In moltissime occasioni si ha la sensazione che i proprietari parlino dei club come dei loro club. E in un certo senso è così, se visto da una determinata prospettiva. Ma loro parlavano del club come il club dei romanisti. E che era per loro che volevano farlo. E questo è stato molto, molto importante per me. Perché, ovviamente, conosco la realtà dei fatti.

Abbiamo terminato la scorsa stagione a 29 punti dalla prima e a 16 punti dal quarto posto. Ma un club non si giudica dall'ultima stagione. Un club si giudica da un punto di vista più ampio. E io so molto bene cosa sia l'AS Roma. Conosco la tifoseria, conosco la passione, e se pensi che il progetto sia: Domani arrivo e dopodomani vinciamo, beh, questo non è un progetto. Quello della Roma è un progetto con il quale la proprietà intende lasciare un'eredità per gli anni a venire. Intende fare qualcosa di importante per il club, lavorando a un progetto che sia sostenibile. Vuole creare le basi per il successo.

Spero che questo successo possa arrivare mentre io sarò qui. Perché il contratto che ho firmato è un contratto triennale. Magari sarà solo il primo contratto, forse un giorno ne firmerò un secondo. Spero che i risultati del nostro lavoro si potranno vedere mentre io sarò qui. Voglio davvero che questo accada. Ma affrontiamo una cosa alla volta. Sono molto contento di fare parte di questo progetto. E, lo ribadisco, non è il progetto di qualcuno. È il progetto dell'AS Roma”.

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Sembra che questo intento di cooperare, il progetto a lungo termine per la squadra, sia qualcosa che ti stia dando una grande motivazione. È giusto affermarlo?

“Penso sia molto, molto importante che le idee siano molto chiare e che il progetto che abbiamo davanti sia altrettanto chiaro. E che sia chiaro quello che il club sia aspetta da me e quello che il club si aspetta che io possa dare. E questo è importantissimo. E le cose sono molto, molto chiare.

Vogliamo creare una Roma vincente, ma vogliamo anche creare un futuro vincente. Non vogliamo che il successo sia un momento isolato. Un momento che, ovviamente, tutti si godrebbero. Ma vogliamo che le conseguenze... Non vogliamo che ci siano conseguenze negative. Vogliamo creare qualcosa che duri nel tempo. Vogliamo iniziare a organizzare al meglio il club in ogni area che abbia a che fare con la squadra.

Chiaramente il club è molto di più che la sola squadra di calcio. È molto di più dei risultati ottenuti dalla squadra di calcio. Ma sappiamo che il barometro e la bussola si basano su questo. Quindi, vogliamo costruire qualcosa di importante. Ma sappiamo che dovremo farlo un passo alla volta. Bisogna iniziare dalle strutture che ruotano attorno alla squadra. Non solo le infrastrutture, ma anche le strutture umane. E, come dice la proprietà, questo è il modo per garantire al club un futuro di successo.

Lo facciamo per il futuro, per il club e per i tifosi. E io sono pronto. Sono entusiasta. Voglio accelerare questo processo. È per questo che dico che spero che potremo vedere dei risultati prima della fine del mio contratto. Perché voglio accelerare questo processo. Non è nella mia natura lavorare e basta. Ovviamente sai che stai lavorando per il futuro, ma non è nella mia natura aspettare troppo tempo prima di raccogliere i frutti. Voglio provare ad accelerare il processo. E spero che tutti insieme potremo ottenere dei risultati il prima possibile”.

C'è grande fermento in Italia per il tuo ritorno. Sono passati più di dieci anni dall'ultima volta che hai allenato in Serie A. Pensi di essere cambiato come allenatore da quella volta?

“Sono migliorato molto. Dico sul serio, sono un allenatore migliore. Perché penso che questo stia un lavoro in cui l'esperienza conti molto. Con l'esperienza... sembra di vivere poi dei déja vu, perché si vivono moltissime esperienze. Dopo l'Italia sono andato al Real Madrid, che è stata un'esperienza incredibile, e ho realizzato il mio sogno di vincere in Italia, in Inghilterra e in Spagna. Poi sono tornato in Inghilterra, perché lì c'è la mia famiglia, ed è lì che volevo tornare. Ho addirittura vissuto l'esperienza estrema di portare una squadra in finale e poi di non giocare quella finale. Qualcosa che pensavo non sarebbe mai successo nella mia carriera. E invece è successo.

Quindi, dopo aver vissuto così tante esperienze e aver imparato dai momenti positive e da quelli negativi, sono molto più preparato rispetto al passato. È un lavoro in cui puoi solo migliorare, fino a quando non perdi gli stimoli. Perché credo sia l'unico motivo per il quale un allenatore di calcio possa decidere di smettere o di smettere di imparare. Non è il mio caso, tutt'altro. Continuo a imparare cose nuove ogni giorno. Quindi, penso di essere migliorato.

Ovviamente un conto è arrivare in un Paese per la prima volta, dove devi partire da zero e imparare moltissime cose. Ma non è il mio caso. Conosco l'Italia come Paese, conosco la cultura calcistica italiana, so qualche cosa anche della Roma, perché quando allenavo in Italia, la Roma era la mia principale antagonista. Era la squadra che lottava con noi per aggiudicarsi i trofei. Quindi, penso di essere in una posizione migliore ora rispetto a quando sono arrivato in Italia per la prima volta nel 2008”.

Una cosa per la quale sei sempre stato celebre, è la tua capacità di creare un legame molto forte con i tifosi. La Roma è ovviamente famosa per la passione dei suoi tifosi. Quanto ti entusiasma la prospettiva di quello che potresti ottenere qui unendo questi due fattori e perché pensi che qui ci sia una passione così grande?

“Penso che la passione sia un fatto culturale, come tu saprai molto bene. È qualcosa con cui dovrò imparare a convivere. Una cosa è viverla dall'esterno, un'altra è viverla dall'interno. Io l'ho vissuta solamente dall'esterno. Ho affrontato la Roma, ho giocato all'Olimpico in diverse occasioni. So quanto sia calda la tifoseria. So quanto in determinati momenti, nei momenti importanti, i tifosi possano farsi sentire.

Ma la cosa incredibile è che negli ultimi venti anni i tifosi non abbiano avuto molte occasioni per essere felici. Tuttavia, la loro passione non è mai venuta meno. È molto facile essere un tifoso sfegatato di una squadra che vince sempre. Mentre vivere una situazione come questa è qualcosa di diverso. Una situazione in cui negli ultimi vent'anni non c'è stato molto per cui festeggiare, purtroppo. Per me questo è molto importante. A volte tra amici scherziamo con i rivali, con le squadre portoghesi, le squadre inglesi. Se sei un vero tifoso, devi dimostrarlo sempre. E credo che sia sotto gli occhi di tutti che i tifosi della Roma fanno proprio questo.

Ma credo anche che abbiano bisogno di vedere una luce. E per me la luce è quello che stiamo cercando di costruire per il futuro. E, ancora una volta, torno agli inizi. All'inizio il signor Friedkin parlava sempre dei tifosi. Ed è per questo che ho molta voglia di lavorare per loro, di lavorare assieme a loro, e spero che la squadra possa riflettere la personalità dei tifosi. La squadra ha delle qualità che hanno anche loro e la qualità principale è la passione dei tifosi nei confronti del club.

Voglio cercare di creare una squadra in cui questi principi siano condivisi. Una squadra di cui i tifosi possano essere orgogliosi nei giorni in cui si vince, ma anche nei giorni in cui si perde. Moltissime volte nel calcio questo non succede, soprattutto quando non ci sono valori condivisi. Cambiare mentalità, cambiare l'anima della squadra, spesso richiede del tempo. Ma è importante che tutti quelli che amano il club lo sentano dentro di loro, lo sentano in campo in ogni minuto della partita. I giocatori devono sentirlo”.

Abbiamo visto dal tuo profilo Instagram che ti sei preparato un po'...

“Mi sono preparato molto!”.

Perfetto, e cosa hai fatto?

“Non posso dirlo...non voglio dirlo, ma mi sono preparato molto. È il mio lavoro! Devo sapere più cose possibile. Le nuove tecnologie ci hanno aiutato, ovviamente. Poi c'è stato Zoom, nei momenti difficili... Ha aiutato le persone a restare in contatto e anche se i momenti più duri sono alle spalle, viene ancora utilizzato. Stiamo facendo molte riunioni, stiamo parlando molto e stiamo già cercando di cambiare alcune cose nel club così quando arriveremo a Trigoria, gli spazi saranno più adeguati rispetto alle nostre idee e alle nostre necessità. Il club è molto disponibile, tutti sono molto aperti e collaborativi. Io dico sempre che arrivi a conoscere un giocatore quando ci lavori insieme.

Ma sto cercando di conoscere più cose possibile. Ovviamente, ci sono i video, le statistiche, i dati e le chiamate per cercare di conoscerli quanto più possibile. Ma è solo quando sei con loro, in campo, quando li tocchi, quando li guardi negli occhi, quando percepisci la situazione, quando affronti le difficoltà e quando vivi momenti positivi, è lì che inizi a conoscere i giocatori”.

L'annuncio del tuo arrivo alla Roma ha galvanizzato i tifosi. Ci sono stati omaggi in tutta la città, come i murales... E anche sui social media... sono certo che lo avrai notato. Ti ha colpito? Ha galvanizzato anche te?

“Sì, li ho visti. Innanzitutto vorrei dire che quello che è successo, il modo in cui è successo, è qualcosa di unico nel panorama calcistico mondiale. Penso che il club abbia gestito la situazione in maniera ottimale. Credo che fino a un minuto prima dell'annuncio ufficiale, nessuno potesse immaginare cosa sarebbe successo di lì a poco. E questo non succede spesso nel mondo del calcio.

Penso sia una lezione per tutto il mondo del calcio, il modo in cui la Roma ha gestito la situazione e ha tenuto segreta la notizia fino all'ultimo secondo. Penso che in questo modo abbia avuto un impatto incredibile e sono orgoglioso di averne fatto parte, perché penso sia un momento storico per il calcio moderno. E non lo dico perché riguarda me o la Roma, ma perché penso che la situazione e il modo in cui si sono svolte le cose rappresentino un momento iconico, impossibile nel calcio di oggi. Ma è successo. Il modo in cui hanno reagito le persone... Non penso di meritarmelo. Perché ancora non ho fatto nulla per loro. Ovviamente mi ha emozionato. Ero contento, grato.

Ora ho una responsabilità ancora maggiore, perché non posso deludere delle persone così appassionate. Posso solo dire che quello che hanno fatto per me, prima che io avessi fatto qualcosa per loro, perché ancora non ho fatto nulla per loro... non può che darmi una motivazione ulteriore.

E, tornando ancora al primo giorno, alla prima conversazione, la proprietà la pensa allo stesso modo quindi io non posso che fare altrettanto. Farò di tutto per ripagare, sul campo, tutto l'affetto e la passione che mi hanno dimostrato. Li voglio davvero ringraziare. Ora si inizia per davvero”.

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Inizia la preparazione pre-stagione. Un periodo in cui si inizia a dare forma alla squadra secondo i propri desideri. Quali sono gli aspetti principali che cercherai di curare durante la preparazione?

“Per prima cosa, aspetterò che arrivino dei regali. Spero che la proprietà e Tiago Pinto mi facciano dei regali, perché ne sarei contento. Sarebbe uno stimolo in più per me. E mi darebbe un maggiore potenziale da sviluppare, con il quale iniziare il processo.

Ma, indipendentemente da questo, la nostra preparazione si articolerà in diverse fasi. I giocatori arriveranno un po' alla volta. Chi ha disputato gli Europei ovviamente arriverà più tardi. Arriveranno in diversi momenti, a seconda di quanto le rispettive nazionali andranno avanti nel torneo.

Sarà un ottimo momento per me per conoscere i giocatori più giovani. Perché inizieremo la preparazione con diversi giocatori aggregati alla squadra. Chiaramente, alcuni di loro hanno giocato alcune partite e hanno avuto alcuni minuti nelle ultime gare della stagione. Per me è stato utile per conoscerli meglio in un contesto che è certamente diverso da quello della Primavera.

Voglio guardare come si comportano, voglio creare un rapporto con loro. Voglio che ci sia collaborazione con il settore giovanile. Perché per un allenatore non c'è cosa migliore che portare alcuni giovani in prima squadra. Giocatori che abbiano assorbito la cultura del club. Spero che in futuro possa succedere sempre più spesso. Ma facciamo una cosa alla volta. Tutte le partite che disputeremo durante la preparazione serviranno per farci crescere. Inizieremo a far giocare ogni calciatore per 45 minuti.

Non guarderemo il risultato della partita. Giocheremo contro squadre più forti e squadre che sono uno o due passi avanti a noi perché hanno iniziato ad allenarsi prima di noi e quindi si trovano in una fase diversa della preparazione. Svilupperemo la squadra un passo alla volta. Porterò con me un piccolo gruppo di persone. Non sono il tipo di allenatore che invade un club con moltissimi collaboratori. Penso che non sia giusto. Penso che chi lavora nel club debba avere la possibilità di dimostrare il proprio valore. Di dimostrare il senso di appartenenza al club e la capacità di adattarsi a un nuovo allenatore e a un nuovo corso.

Quindi, cerchiamo, tutti insieme, di creare, e questa è la cosa più importante, una squadra. E quando dico una squadra, non intendo soltanto gli 11 giocatori che scendono in campo. Intendo che il club deve essere una squadra.

Tutti devono sentirsi parte della squadra. Tutti devono pensare: Voglio dare il massimo per la mia squadra. Tutti devono essere contenti quando si ottiene un buon risultato e tristi quando il risultato è negativo. Ma tutti devono sentirsi parte di una squadra”.