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Carlo Sartori: "Giocai nello United di George Best e Bobby Charlton"


Il primo calciatore straniero della storia del Manchester United. Italiano, figlio di genitori del Trentino emigrati in Inghilterra. Nome Carlo, cognome Sartori.

Classe 1948, ex giocatore offensivo poi arretrato in mediana, eloquio a metà tra l’italiano e l’inglese, è uno che con la maglia rossa ha giocato al fianco di George Best e Bobby Charlton. Due leggende nella storia del club inglese, è il periodo tra il 1968 e il 1973. “Fui notato con i Manchester Boys e per i Lancashire Boys – racconta – Arrivai da dilettante, a 15 anni, e due anni dopo firmai da professionista, entrando a far parte delle squadre A e B, delle Reserves e poi, nella stagione 1968-69, feci il debutto in prima squadra in una partita contro il Tottenham”. Ma gioca anche in Italia. Nel 1973 esordisce in Serie A con la maglia del Bologna, proprio contro la Roma allo stadio Olimpico.

Nel giorno del suo esordio contro il Tottenham entrò in una squadra formata da Best, Charlton, Dennis Law.

“Giocare con loro fu un privilegio raro. Parliamo di gente che ha fatto la storia del calcio. Io ho fatto parte del Manchester United in qualità di primo straniero e già questo resta un fatto unico. Poter stare insieme a quei campioni fu meraviglioso. Il mio eroe a scuola era Denis Law, adoravo Denis e cercavo di copiare le sue movenze, poi, improvvisamente, mi ritrovai a giocare insieme a lui. Però, diciamolo, Best era il più forte di tutti. Di tutti”.

Non teme confronti?

“Non esistono Messi, Ronaldo, non esiste nessuno. George era George. Best, appunto. Il migliore. Lo diceva il nome stesso. Quando giocava al suo meglio, era sopra a chiunque altro. Era fenomenale. Quando facevamo le partite in allenamento a due tocchi, lui toccava il pallone una volta sola. Era un ragazzo umile, carismatico. Si allenava seriamente duramente la settimana. Poi quando è diventato il primo calciatore star, ha perso il filo della sua carriera”.

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E Bobby Charlton?

“Forte, fortissimo pure lui. Non parlava molto, ma quando andava in campo faceva parlare il pallone. Aveva un tiro potente, un numero 9 vero”.

Poi, nel 1973 tornò in Italia.

“Firmai per il Bologna, ma fui in qualche modo obbligato per assolvere al servizio militare. Era obbligatorio, all’epoca. Avevo 25 anni, lasciando così lo United. Feci anche parte della Nazionale Militare Italiana, in Congo vincemmo la Coppa del Mondo Militare. C’erano Oriali, Graziani, Bordon, poi campioni del mondo in Spagna nel 1982. Inoltre, sempre nel periodo del servizio di leva, solitamente giocavamo a Roma ogni martedì”.

A Roma?

“Si trattava di una partita contro una squadra di seconda o terza divisione per mantenermi in forma, per poi tornare al mio club. Il Bologna, appunto”.

Peraltro, all’Olimpico arrivò la sua prima presenza in Serie A.

“Contro la Roma, alla prima giornata di campionato. Perdemmo 2-1 e io subentrai nel secondo tempo. Nella prima stagione al Bologna non presi parte a molte gare, ma giocai in Coppa Italia quell’anno perché lì giocavano gli elementi meno utilizzati. La vincemmo, la coppa. In finale giocò la squadra più forte, ma mi fu comunque consegnata la medaglia perché avevo disputato la maggior parte delle partite. Fu un periodo ricco di cose. Quando ripenso alla mia carriera, mi sento privilegiato”.

Lei, peraltro, fece anche uno scherzetto niente male ai giallorossi. Fu tra i tre marcatori in quel famoso Trento-Roma 3-0 dell’estate 1982, che anticipò la stagione da scudetto della squadra di Liedholm.

“Devo dire, fu una bella soddisfazione. Non capita tutti i giorni di vincere una partita così prestigiosa, segnando tre gol ad una squadra come la Roma. Quella Roma così forte, poi. Anche se nell’occasione non c’erano Falcao e Bruno Conti, per dire. Però c’era Di Bartolomei, che proprio nel Roma-Bologna in cui esordii in Serie A, lui fece il primo gol con la Roma. Comunque, terminai la mia carriera calcistica nel Trento, avevo 34 anni. Tornai nel mio posto d’origine dove ero nato, essendo di Caderzone Terme”.

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo?

“L’ultimo anno in cui giocai in Italia, presi il patentino di allenatore per restare nell’ambito, ma mio fratello morì nel 1983, e l’altro mio fratello era a Liverpool per mandare avanti l’attività che aveva iniziato mio padre da arrotino. Doveva curare il giro di clienti fra Liverpool e Manchester, e chiese il mio aiuto. Tornai a Manchester e ci sono rimasto per 29 anni”.

Oggi dove si trova?

“Ancora in Inghilterra, sempre nei dintorni di Manchester. Quando posso seguo la mia ex squadra e spesso ci ritroviamo a cena tra vecchie glorie del passato”.

Vedrà Manchester United-Roma?

“Certamente. E sono sicuro che sarà un grande spettacolo”.