Che Stefano Colantuono sia un allenatore di fama nazionale lo sanno più o meno tutti in Italia, addetti ai lavori e non.
Atalanta, Torino, Palermo, Udinese sono stati alcuni suoi club di appartenenza, guidati in Serie A e in B. Con alterne fortune, come capita alla maggior parte dei suoi colleghi.
Che Colantuono abbia indossato la maglia giallorossa è cosa meno nota. Anche tra i romanisti stessi. Non è cronaca recente, sono fatti del 1987. E non si tratta di gare ufficiali, ma di alcune partite della “Los Angeles Gold Cup”, torneo che fece parte di una tournée statunitense, nel mese di giugno. “Fu un onore per me vestire questa maglia, da romano e romanista”.
Eppure, in passato girarono voci contrastanti sulla sua fede calcistica.
“Non scherziamo. La mia famiglia è romanista, io sono come loro. Da sempre tifo giallorosso. Tifo la Roma”.
Che effetto le fece partecipare a quel torneo in America?
“Parliamo veramente della preistoria. Trentatré anni fa, ormai. Ma fu bello e gratificante. Indescrivibile, in alcuni momenti. Ebbi questa possibilità di essere tesserato per la Roma per quel torneo estivo a Los Angeles. Viola fece una richiesta ufficiale all’Avellino, la mia squadra di appartenenza allora. E gli fu accordata la possibilità di portare sia il sottoscritto, sia Dirceu. Entrambi ci eravamo messi in luce nell’Avellino, facendo un buon campionato”.
Il torneo americano si esaurì in quattro partite. Lei ne giocò due.
“Mi fece effetto portare il numero 5 sulle spalle. Nella Roma quella maglia aveva un significato particolare, soprattutto in quegli anni. Era sinonimo di Paulo Roberto Falcao. Ma io giocavo in difesa, in ogni caso. Non a centrocampo come il “Divino”. Il mio esordio avvenne contro il Club America. Vincemmo 2-1 con doppietta di Zibì Boniek”.
Quello resta il momento migliore?
“Senza dubbio molto emozionante. La cosa più bella di quella tournée fu quella di avere accanto grandi campioni come, appunto, Boniek. Ma anche Carlo Ancelotti, Bruno Conti, Franco Tancredi”.
Non ci fu un seguito, però.
“L’Avellino decise di non smantellare la squadra, che in campionato arrivò all’ottavo posto proprio sotto la Roma settima. Io tornai alla base e la mia esperienza in giallorosso si concluse lì”.
Poi, l’ha affrontata solo da tecnico avversario.
“Sì, in diverse occasioni. L’ultima fu particolare perché mi costò la panchina”.
Da allenatore dell’Udinese.
“Esattamente, Udinese-Roma del marzo 2016. Vinse la Roma di Spalletti per 2-1. Era una squadra che andava a mille, veniva da sette vittorie consecutive e quella fu l’ottava. Segnarono Dzeko e Florenzi. Per noi Bruno Fernandes, che ora sta facendo le fortune del Manchester United”.
E come mai decisero di esonerarla? Non fu uno scandalo perdere contro un avversario tanto in forma…
“Non mi va di fare polemiche a distanza di anni, non l’ho mai fatto in carriera. Posso dire che quella fu una decisione, a mio avviso, affrettata. Lasciai la squadra a cinque punti dalla terzultima. Secondo me, saremmo arrivati all’obiettivo della salvezza, come poi avvenne con De Canio alla guida. Pazienza, ormai è acqua passata”.
Oggi gli allenatori di Roma e Udinese sono Gotti e Fonseca. Che opinione ha dei due tecnici?
“Gotti lo conosco meglio perché fu mio compagno di corso a Coverciano. È un allenatore capace e un ottimo conoscitore di calcio. Lo scorso anno ha fatto bene, portando l’Udinese ad una comoda salvezza. Fonseca lo posso giudicare solo da osservatore esterno. Sta facendo un buon lavoro, con qualche inevitabile difficoltà. Per me la Roma ha iniziato bene la stagione, con due prestazioni interessanti – sul campo – contro Verona e Juventus. Due squadre ostiche, due avversari non semplici. Per me può fare bene, la nuova proprietà ha progetti ambiziosi per il club”.
Lei è tornato a lavorare per la Sambenedettese, invece.
“Sì, come responsabile dell’area tecnica. La Samb è la squadra che mi ha lanciato come tecnico e ci ho giocato anche da calciatore. È cambiata la società anche qui, c’è un presidente che vuole investire e rilanciare la squadra, mi è stata chiesta la mia collaborazione, in un ruolo diverso da quello di allenatore, ho accettato di buon grado. Voglio dare il giusto supporto al nostro tecnico, Paolo Montero, e dimostrare di saper fare anche un lavoro nell’ambito societario”.
"Indossare la maglia della Roma è stato un onore. Avevo la 5, che all'epoca significava Falcao..."
- Stefano Colantuono
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