Ecco gli argomenti centrocampista francese, arrivato nell’estate del 2015 e protagonista finora di 21 presenze con la maglia della Roma.
L’approccio con il calcio italiano.
“Quando mi sono unito al gruppo ero rientrato da un infortunio avuto in Russia e dopo il primo allenamento, una sessione basata sul lavoro fisico, sono tornato a casa e ho vomitato. Ho capito che quello che mi era stato detto sull'Italia non era uno scherzo. Basta vedere le dimensioni delle cosce dei giocatori per capire cosa intendo. In Italia, sanno di calcio. Un centrocampista ai loro occhi è importante quanto un attaccante o un difensore. Non è sorprendente che Pirlo e De Rossi siano italiani”.
La pressione
“Qui si sente ogni giorno la pressione che circonda un club delle dimensioni della Roma. Quando le cose vanno bene come in questo periodo, la gente ti lascia in pace, ma quando le cose vanno meno bene, come tra novembre e dicembre, l’ambiente si riscalda rapidamente. Ma è per questo che faccio questo lavoro. Amo la passione. Sia i dirigenti della squadra, che Daniele De Rossi, mi hanno spiegato come sarebbe andata. A Mosca giocavamo di fronte a 5.000 persone. C'era zero pressione, sia che tu giochi bene sia che tu giochi male”.
Il giudizio sulla stagione.
“Buona. Soprattutto perché sono circondato da grandi giocatori: De Rossi, Pjanic, Keita, Maicon, Nainggolan, e, ovviamente, Totti. Ho scoperto un altro calcio, un altro livello, qui si va a 2000, se non vedi il gioco prima di ricevere la palla sei morto. Mi sento migliorato, quando sono arrivato non ero nessuno. Avevo un piano sviluppato con il mio agente Meissa Ndiaye: per prima cosa lavorare in allenamento per trovare un posto in panchina e poi uno in campo. Sapevo benissimo che non sarei venuto a fare il titolare, ci sono anche molte stelle di fronte a me, era impossibile. Devo guadagnarmi il posto: questa è la mia ambizione”.
Spalletti.
“Stella o non stella, se non fai quello che chiede ti uccide (ride, ndr). Ma lui ama i suoi giocatori e li difenderà fino alla fine. Io non sono nessuno in questa squadra rispetto a tutti i grandi nomi che ci sono, ma lui mette tutti sullo stesso piano. Tatticamente è il top, concepisce il gioco come nessuno. Ti dice di metterti in quel punto preciso in una certa fase di gioco, inizialmente non capisci bene il perché, poi ti rendi contro che la palla ti arriva sui piedi”.
Nainggolan e Pjanic.
“Radja è eccezionale. Lui sa fare tutto. È potente, tecnico, può giocare alto, in centro o un po' più basso. La Roma è già molto forte ma lui potrebbe giocare con tutti i più grandi club del mondo. Ma il ragazzo che mi ha impressionato di più, a parte Totti, è Pjanic: è un genio. Quando è al 100%, è un piacere, vede tutto sul campo. Per Miralem e Radja non c'è alcun limite.
Totti.
“Il Capitano è incredibilmente tranquillo negli spogliatoi. Ma sportivamente, rimane impressionante: ha quasi 40 anni, mi chiedo come abbia fatto. Ha gli occhi ovunque, ha un piede che gli permette di fare quello che vuole”.
La partita contro il Real Madrid.
“Quando ho annunciato al mio agente che sarei stato titolare contro il Real, lui mi ha detto di ricordarmi da dove ero venuto e che tutti i sacrifici che avevamo fatto insieme erano proprio per poter giocare partite come quella. Ero a Roma, con Zidane sulla panchina avversaria, contro giocatori come Modric e con la possibilità di ritrovarli a Bernabeu al ritorno…”.
Il Derby.
“Lo rocordo bene, soprattutto perché ho giocato come titolare e i dirigenti e i tifosi ti fanno capire che non si può perdere. Quando eravamo in albergo, abbiamo visto arrivare centinaia di sostenitori alle 8 del mattino. Walter Sabatini mi ha chiamato nel suo ufficio e non ci ha girato intorno. Mi disse che avrei giocato, che si fidava di me e che non era per niente che mi aveva preso. Ed è là che inizi a traballare. Il derby di Roma è un evento unico. Quando si vince, si può fare ciò che si desidera in città, vai al ristorante e non paghi, la gente ti segue. Io ho avuto la possibilità di giocarlo e soprattutto, di vincerlo”.
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