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Gentile: "Un privilegio aver fatto la telecronaca di Roma-Feyenoord"


Forse la frase più bella non è più “La Roma in vantaggio”. Dopo Tirana, il “può bastare così” di Riccardo Gentile entra di diritto tra le citazioni più rassicuranti.

Significava che la partita era finita, dopo 5 minuti di recupero. Significava che la Roma aveva vinto, che aveva battuto il Feyenoord 1-0, conquistando la prima Conference League della storia, il primo trofeo UEFA della Roma. Per lui, per il telecronista di Sky, raccontare la finale insieme a Beppe Bergomi seconda voce è stato “un privilegio. Anche per come è finita. Se la Roma avesse perso, sarei stato ricordato in altro modo dai tifosi… E invece…”.

E invece, in qualche modo, lei è entrato nella storia romanista.

“Beh, intanto voglio ringraziare Sky per questa meravigliosa opportunità che mi ha concesso. Questa era la quinta finale europea di una squadra italiana negli ultimi 12 anni. Nel 2010 il trionfo dell’Inter di Mourinho in Champions, poi per 2 volte ci era finita la Juventus in finale di Champions, perdendole entrambe, quindi l’Inter nel 2020 in Europa League, in quella circostanza sconfitta dal Siviglia”.

“La Roma era la terza squadra diversa ed era chiamata a far tornare il calcio italiano vittorioso in Europa. Ci è riuscita. Sono contento che tra qualche anno i tifosi possano risentire la mia voce per ricordare quella serata. Voglio fare una menzione anche per lo “zio” Bergomi, che si è occupato del commento tecnico del match. A fine gara l’ho visto davvero contento ed emozionato per questa vittoria”.

Quanto c’è di Mourinho in questo titolo?

“Tanto. È stato fondamentale. Già il fatto che l’ultima affermazione di un club italiano nelle coppe risaliva al 2010 con lui, è significativo. Il tecnico è stato intelligente a centrare il focus della stagione della Roma su questa competizione. La Roma aveva una buona opportunità e l’ha colta”.

“Ma non perché – come si dice – il valore delle avversarie fosse inferiore ad altre competizioni. Se vediamo, ad esempio, la finale di Europa League tra Eintracht Francoforte e Glasgow Rangers, possiamo dire tranquillamente che la finale di Conference fosse senza dubbio più competitiva. Questo torneo per la Roma è stato difficile dall’inizio, dal primo playoff contro il Trabzonspor. Squadra che poi ha vinto a spasso il campionato in Turchia. I giallorossi in Europa negli ultimi anni hanno fatto ottime cose, Mou ha portato il suo tocco determinante”.

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Ovvero?

“Ha cambiato la testa di questa squadra, di questi giocatori. Rispetto alle stagioni precedenti, ha trasmesso una solidità difensiva e mentale che in altre occasioni non si era vista. Non vedevo questo atteggiamento dalla prima stagione di Garcia”.

“Non a caso semifinale di ritorno e finale sono finite con lo stesso risultato, 1-0. Comunque, ha saputo valorizzare anche il lavoro iniziato da Fonseca nelle altre stagioni e alla fine ne è uscita una sintesi vincente”.

Un po’ quello che fece Capello dal 1999 nel post Zeman?

“Non lo so, non saprei fare un paragone tra Zeman e Fonseca. Sicuramente Capello all’epoca ereditò una squadra con la cultura del lavoro. Facendo un rapporto con Capello al primo anno e Mourinho al primo anno, si può dire che Mourinho ha già vinto. Ma in campionato entrambi sono finiti al sesto posto. Questo per dire cosa, che il blasone dell’allenatore può essere determinante, ma poi in campo ci vanno i calciatori”.

“Capello, nel 2000-01, dopo aver posto le basi il primo anno e aver inserito tre campioni come Samuel, Emerson e Batistuta vinse il campionato. Mourinho in questa stagione ha già messo un trofeo in bacheca, perlopiù europeo…”.

Lei ne ha raccontate diverse di partite in questa Conference, c’è stato un momento in cui ha pensato che si facesse dura?

“Forse la partita che mi ha lasciato più perplesso è Roma-Vitesse, pareggiata al novantesimo da Abraham. Le difficoltà dei giallorossi nel match di ritorno mi sembrarono eccessive. Invece quello è stato uno sliding doors fondamentale del torneo”.

“E la Roma dal turno successivo ha sbagliato poco. Anche contro il Bodo nell’andata ai quarti, lì i norvegesi vinsero, ma con un paio di episodi fortunati. Ero sicuro che al ritorno la Roma stravincesse. Così è andata”.

Il giocatore simbolo della coppa?

“Difficile scegliere… Direi i due inglesi, Smalling e Abraham. Il primo è stato determinante in difesa, con prestazioni di livello assoluto, l’altro ha segnato 9 gol in coppa e complessivi 27 in stagione”.

“E poi c’è ovviamente Pellegrini, ha alzato la coppa da capitano romano e romanista. Una cosa sempre molto bella per il calcio e per la tradizione del Club, che da sempre porta avanti un calciatore del territorio, sempre molto forte e competitivo, come in questo caso Lorenzo”.

A questo proposito, è molto piaciuta – leggendo in giro – la dedica fatta in telecronaca a Giannini e Di Bartolomei prima che Pellegrini alzasse la coppa.

“Io credo che sia corretto e giusto conoscere la storia di ogni società calcistica. La Roma, appunto, ha la sua, fatta di uomini bandiera che hanno scritto pagine cruciali in oltre 90 anni di vita del Club. Giannini non riuscì a vincere la Coppa UEFA nella doppia finale con l’Inter del 1991, Di Bartolomei la Coppa dei Campioni dell’84 all’Olimpico”.

“Io Peppe lo conosco personalmente, ci ho anche lavorato insieme a Sky qualche anno fa e so quanto in lui sia forte il rammarico di non essere riuscito a prendersi quella soddisfazione. Agostino è il capitano per eccellenza di ogni romanista, la sua vicenda è nota. Avrebbe tanto meritato una soddisfazione così”.