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Il romanticismo di Juventus-Roma raccontato da Darwin Pastorin


Giornalista, direttore, scrittore, esteta del calcio: Darwin Pastorin è uno dei più grandi narratori viventi di questo sport

"L’eleganza di Paulo Roberto Falcão e la classe senza tempo di Platini, la nostalgia e il rimpianto per Di Bartolomei, Pablito Rossi e Scirea: Juve-Roma è sempre stata una sfida romantica, un confronto aperto". Giornalista, direttore (Tele+, Stream, La7 Sport), scrittore, esteta del calcio: Darwin Pastorin è uno dei più grandi narratori viventi di questo sport.

Un poeta del calcio, lo ha definito qualcuno. Un maestro, per le generazioni attuali. Ma Darwin Pastorin è anche e soprattutto un tifoso: del Palmeiras, e della Juventus. Questa è l'intervista che ci ha concesso in vista della sfida con i bianconeri, domenica a Torino.

Juventus-Roma è una classica del calcio italiano. Quali ricordi le evoca?

"I ricordi sono tanti, cominciano negli Anni Sessanta. Mi sovviene la figurina, con la maglia giallorossa, di Angelo Benedicto Sormani, destinato a diventare uno dei miei più cari amici, un galantuomo. Sfide sempre accese, sempre tenaci. Ho sempre amato narrare i portieri, da Anzolin a Ginulfi, da Roberto Tancredi a Franco Tancredi. Il ruolo (con l’ala destra) più romantico del calcio.

In porta si esibirono scrittori e poeti come Camus, Nabokov ed Evtušenko, e che bellezza i due portieri della poesia 'Goal' di Umberto Saba! E quanto furore, tra bianconeri e giallorossi, negli Anni Ottanta, la lunga stagione dell’Eldorado del nostro pallone. Giampiero Boniperti e Dino Viola tra questioni di centimetri e righelli. L’eleganza di Paulo Roberto Falcão e la classe senza tempo di Platini, la nostalgia e il rimpianto per Di Bartolomei, Pablito Rossi e Scirea. La forza di Nela e i lampi di Cabrini, i colpi di testa di Bettega e Pruzzo, i dribbling di Bruno Conti e le illuminazioni di Tardelli. Juve-Roma è sempre stata una sfida romantica, un confronto aperto.

E come dimenticare, fino a qualche tempo fa, le lezioni di stile di Totti e Del Piero: quanta letteratura nel giorno del loro addio al football, con le lacrime dei tifosi e la malinconia già intensa di molti!".

Con capienze ancora ridotte, tuttavia gli stadi italiani sono tornati pieni - lo sarà anche l’Allianz, domenica sera - nonostante ormai per vedere una partita basti uno smartphone. Il calcio “moderno”, che vive dei diritti tv, non può comunque fare a meno dei tifosi?

"I tempi sono, decisamente, cambiati. L’epoca del romanticismo è tramontata. Oggi il marketing ha preso il posto del dribbling. Ma il business non ha cancellato l’emozione della partita, il momento magico e abbagliante dell’ingresso in campo delle squadre e del fischio d’inizio dell’arbitro.

In quegli attimi, riprendiamo la nostra giovinezza per mano: e il miracolo si ripete. Ed è bello, ora, ritrovare gli spalti (quasi) pieni. Ritornano, per fortuna, i suoni e i canti, 'la passione fiorisce fazzoletti / di colore sui petti delle donne', per citare Vittorio Sereni, poeta magistrale e tifoso interista".

Pasolini considerava il calcio “l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. Per lei cos’è il calcio? Si è mai chiesto quale sia la grande magia di questo sport? Cosa ci porta a stare male fin da piccoli per la Juventus o per la Roma?

"Il calcio, come insegnava Jean-Paul Sartre, è 'una metafora della vita', per Pier Paolo Pasolini, che giocava all’ala destra ed era un sostenitore acceso del Bologna, 'un linguaggio', per Thomas Stearns Eliot “un elemento fondamentale della cultura contemporanea”, per Gianni Brera 'un mistero agonistico'. Per me è un sentimento forte, un recupero dell’infanzia, di quando gli assi del pallone sostituirono gli eroi salgariani. Sono nato a San Paolo in Brasile, orgoglioso figlio nipote e pronipote di migranti veneti.

Da piccolo tifavo (e tifo) per il Palmeiras, che alle origini si chiamava Palestra Italia. Ancora oggi seguo, dove posso e come posso, le imprese della mia squadra. Arrivato in Italia, a Torino, la scelta è caduta sulla Juventus. Riconosco ai sostenitori giallorossi un amore assoluto e profondo per i loro beniamini. Un tifo sempre caldo e sincero".

Da sempre il calcio si interroga su quanto pesi un allenatore nell’economia della partita, e più in generale di una stagione. Da giornalista cresciuto nella Serie A dei maghi, Helenio Herrera su tutti, lei cosa ne pensa?

"Gli allenatori contano, eccome! Pensiamo a Roberto Mancini e allo strepitoso successo dell’Italia agli ultimi Europei. Certo, in campo vanno i giocatori: ma la strategia appartiene al tecnico, così come l’abilità nell’effettuare, nel corso dei match, i cambi giusti. Io sono stato un estimatore di Heriberto Herrera, allenatore paraguaiano della Juventus, l’inventore del 'movimiento-movimiento', una squadra operaia capace di praticare un football totale in anticipo su mode e tempi".

Sappiamo che non segue più da vicino le vicende quotidiane del campionato, ma le chiediamo un giudizio su Mourinho: per il calcio italiano, il suo ritorno cosa rappresenta?

"Ecco: José Mourinho appartiene alla categoria dei tecnici 'decisivi': soprattutto nel saper motivare, durante la settimana, i calciatori. Psicologia, non solo tattica. Freud che entra nello spogliatoio. È ritornato in Italia nuovamente per 'miracol mostrare'. Farà bene, e Roma rappresenta una piazza giusta per le sue ambizioni e per il suo carattere".

Da scrittore - da appassionato di Eupalla, per usare le parole di Brera - reputa divertente questa Serie A, che non sembra avere più una Juventus ammazza-campionati?

"La Juve si sta riprendendo, dopo un avvio difficile. Possiede giocatori in grado di fare la differenza, penso a Dybala e a Chiesa. E in difesa può contare su una coppia d’acciaio, Chiellini-Bonucci. Prevedo una lotta apertissima per quanto concerne lo Scudetto, anche se, fino a questo momento, dobbiamo fare i complimenti a questo Napoli vincente e convincente".

Il suo idolo da ragazzo fu Pietro Anastasi, che ci ha lasciato a gennaio 2020. Pur da amante dei colori bianconeri, c’è mai stato un giocatore della Roma che avrebbe voluto alla Juventus?

"Il mio Pietruzzu! L’idolo della mia giovinezza, diventato poi uno dei miei amici più veri. Una volta, passeggiando per la bellissima Noto, mi disse: 'Sai, Darwin, della mia vita continui a sapere più cose tu di me'. Era il centravanti dalla rovesciata proletaria, a Giovanni Arpino ricordava il pastore Rosario del mai finito romanzo 'Le città del mondo' di Elio Vittorini. Resterà, sempre e per sempre, il campione del mio cuore.

Tanti calciatori della Roma avrei visto bene in bianconero! Ne cito uno: Falcão. Ho avuto la fortuna di conoscerlo. Sul prato verde si muoveva leggero, a testa alta, con straordinaria fantasia e abilità. Un fuoriclasse, autentico".