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Berretta: "Per poco non feci parte della rosa del terzo scudetto"


Daniele Berretta è uno di quelli che è uscito dal calcio senza rimorsi e nemmeno rimpianti. Ha giocato nella Roma, con la quale conta 30 presenze in tre stagioni complessive.

È stato anche un giocatore di spicco del Cagliari, dove si era affermato definitivamente alla fine degli anni 90. Oggi vive a Londra e, alla soglia dei 50 anni, ha deciso di dedicarsi alla famiglia. “Loro sono la mia priorità. Mia moglie e i miei figli vivono qui da tempo. Lavorano. Io ci sto in pianta stabile da quattro anni. Si sta bene, viviamo nel quartiere di Fulham, un bel posto. E, quando posso, vado a piedi a Craven Cottage a seguire le partite del Fulham. Ma pure quelle del Chelsea”.

Alla Serie A è ancora interessato?

“Sì, quando posso vedo qualche partita di cartello. Non sono un assiduo spettatore, ma mi aggiorno sulla classifica e su quello che succede”.

La Roma l’ha vista di recente?

“In televisione ho avuto modo di assistere a Roma-Sassuolo. Bella vittoria, ottenuta con un pizzico di fortuna nei minuti finale, ma comunque un successo voluto fino all’ultimo, in una gara divertente, intensa, con gol segnati. Mourinho è un grande allenatore, farà bene. Saprà dove mettere mano”.

E la sua città non le manca?

“Mah, guardi, quando posso, torno volentieri a Roma. Ho tante persone a cui sono legato. In fondo ci dividono due ore e mezza di aereo. L’unica cosa a cui è difficile abituarsi, da romano, è il clima di Londra. Piove spesso, con una pioggia strana. Qui in una giornata puoi vivere quattro stagioni insieme. Freddo, pioggia, caldo, a volte neve. C’è tutto”.

Il fatto che il calcio non sia più una professione, lo vive come un problema?

“Pure questa è stata una cosa assolutamente normale. Come ho deciso di smettere, mi sono allontanato dai riflettori senza difficoltà. Ho anche seguito i vari corsi per diventare tecnico, volendo potrei avere l’abilitazione per allenare qualsiasi squadra in ogni categoria, ma non lo faccio”.

“Ho avuto un’esperienza all’Ostiamare da vice, mi sono anche divertito, ma non era più cosa. Era il momento di occuparmi di altro. Comunque, faccio tanto sport. Tennis in particolare, per il quale ho una passione da sempre. Amavo Panatta e Barazzuti negli anni 70. Ma mi diverto anche a padel”.

Gli appassionati di tennis sono un po’ cauti sul padel. Lo amano poco, insomma.

“Io ci gioco volentieri quando c’è modo. Ti tiene sempre in movimento, non ti fermi mai. Certo, rispetto al tennis è un altro sport. È come paragonare il calcetto al calcio a undici. Belli entrambi, ma in modo diverso. Come ho smesso di giocare a calcio, il giorno dopo mi sono informato subito per prendere lezioni di tennis e arrivare a un buon livello. Era una cosa che avevo sempre desiderato di fare”.

Nella sua carriera da calciatore, invece, c’è qualcosa che le è rimasta in sospeso?

“Complessivamente, diciamo, che sono stato soddisfatto del percorso che ho fatto. Ho giocato in Serie A, ho fatto le coppe europee, per qualche stagione sono stato a un buon livello di prestazioni. Un rimpianto ce l’ho, per quello che successe proprio con la Roma nell’estate del 2000…”.

Cosa successe? Racconti.

“Avevo la possibilità di tornare e di far parte della rosa che poi avrebbe vinto lo scudetto. Io avevo 28 anni compiuti, ero nel pieno della maturità calcistica. Venivo da tre stagioni molto positive nel Cagliari, dove mi ero trovato bene e avevo giocato con continuità. Con quella maglia segnai il primo gol in Serie A, mentre con la Roma avevo segnato in Coppa UEFA contro la Dinamo Mosca. Insomma, avevo fatto il salto di qualità definitivo. Non ero più il ragazzino della Primavera".

"Ero un calciatore che poteva far comodo. Nella Roma allenata di Capello si infortunarono prima Di Francesco e poi Emerson. Si misero a cercare un centrocampista e io ebbi anche diversi colloqui con il dirigente sportivo di allora, Franco Baldini”.

E poi?

“Consideri che ero ad un passo dal Bologna del presidente Gazzoni Frascara. Mi avevano prospettato un buon progetto, in una squadra che aveva fatto un mercato di livello prendendo giocatori importanti, tra i tanti Julio Cruz e Tomas Locatelli. Mi chiesero di aspettare, che il ritorno alla Roma si sarebbe concretizzato. Mancava solo da convincere Sensi, che non voleva spendere una cifra elevata per un ex del settore giovanile che avevano praticamente regalato al Cagliari”.

“Invece, Cellino sparò alto e l’affare si arenò. Nel frattempo, la Roma venne eliminata in Coppa Italia dall’Atalanta. Ci fu la famosa contestazione a Trigoria, molto dura nei toni e nei modi, e non se ne fece più nulla. In pratica, dopo quel casino, non se la sentirono di prendermi. Tanto che la squadra rimase con lo stesso centrocampo. E io passai successivamente proprio all’Atalanta”.

Con la quale affrontò la Roma in quel match dell’Olimpico, vinto 1-0 dai giallorossi con gol di Montella.

“Sì, la ricordo bene quella giornata. Ero particolarmente arrabbiato per quello che era accaduto in precedenza. Fu tutto per una questione di soldi e ci rimasi male. Volevo dimostrare, far capire che si erano sbagliati a non prendermi. Feci una bella partita, molto aggressiva".

"Anche marcando Totti, che non fece una prestazione delle sue. Poi la Roma vinse quella gara e il campionato. Sarebbe stato bello essere campione d’Italia da romano e romanista. Andò in un altro modo. Pazienza. Cose che fanno parte del calcio e della vita”.