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Cesare Benedetti, il centrocampista allievo di De Chirico


Il Corriere dello Sport, in edicola il 3 dicembre del 1945, bolla il giovane centrocampista della Roma, Cesare Benedetti.

"La Roma ha perduto. Non importa: la squadra ha giocato, è stata generosa, è stata magnifica in difesa, eccellente nella mediana dove Benedetti, quantunque emozionato, ha sostenuto degnamente la prova anche se si è rivelato un centro mediano da difesa e non da offesa".

Di nome fa Cesare, è nato a Treviso il 24 ottobre di 100 anni fa e sempre a Treviso è morto nel 2002. La sua particolarità? Due stagioni con la maglia della Roma, la prima solo da tesserato, la seconda da calciatore, e un'amicizia, lunghissima e autentica, con Giorgio De Chirico.

Fu fondamentale l'assenza "dell'aitante centro mediano triestino" Salar, per portare Benedetti in campo per la prima volta con la maglia giallorossa, nel dicembre ’45 allo Stadio della Vittoria di Bari. "L'innesto del giovanissimo Benedetti appare denso di alternative, se questi saprà degnamente supplire il migliore titolare, la Roma potrà sperare in una buona affermazione", scrive ancora Pietro de Giosa. La vittoria non arriva, ma in quella partita il ragazzo stupisce tutti. "La prova dell'esordiente mi ha impressionato" dirà Fusco, il capitano del Bari.

Cesare non era un titolarissimo, ma aveva piedi e fantasia, voglia e carattere. Aveva iniziato a giocare a 16 anni nella sua Treviso, riuscendo a esordire in prima squadra nel '37. È con la maglia trevigiana addosso che lo nota il Presidente del Bologna, Renato Dall'Ara, per cui quei piedi e quella testa devono essere il cuore della mediana rossoblù, insieme a Vittorio Malagoli e Aurelio Marchese. Ma sono anni di movimenti, di tensioni.

Il calciatore arriva a Bologna nel 1940. Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Così Benedetti con i felsinei non gioca una partita: il suo Reggimento, il 35°, viene trasferito in Calabria. Da qui sarebbe dovuto partire per il fronte africano, dove le forze dell'Asse combattevano contro Regno Unito e Francia.

"Svaniscono i sogni sportivi, molta nostalgia della famiglia - scrive Benedetti, a didascalia delle foto durante la leva militare - accampati in tenda, armati di fucile, baionetta, munizioni. Marce su marce, dormire per terra; affezionatissimi: cimici e pidocchi. Del mangiare: meglio non ricordare...".

È in questo momento che interviene “provvidenziale, tempestivo” Edgardo Bazzini, da un anno nuovo presidente della Roma. Benedetti è pronto a partire, già armato e in divisa coloniale, quando dalla fureria, in extremis, arriva la chiamata: "Caporale Benedetti, trasferito all'81° Reggimento".

Come ha ricordato Luca Pelosi nel suo "La storia della grande AS Roma in 501 domande e risposte", Alfred Schaffer lo voleva come riserva di Edmondo Mornese, uno dei pilastri dello Scudetto. Arriva nella Capitale, dove frequenterà anche l'Università grazie al premio d’ingaggio promesso dal Presidente per recuperare gli studi, a 22 anni, dimostrando di essere "uomo che non bada a finezze di stile pur di mandare avanti il gioco", come scrive il Corriere dello Sport dopo la vittoria per 3 a 1 contro la Salernitana.

Con la maglia giallorossa scende in campo 6 volte, nella stagione 1945-46, nell'assurdo campionato del primo dopoguerra, riuscendo a giocare e a vincere un derby, quello del dicembre 1945, andato in scena allo Stadio Nazionale e vinto 2 a 1, con le reti di Urilli e Borin. Tra le pagine di foto e ritagli di giornali, Benedetti, che nel match era in mediana insieme a Salar e Iacobini, ricorda quella vittoria scrivendo il famoso coro giallorosso: “V’avemo mbriacato oh oh oh!”.

Passa poi alla Salernitana, dove contribuisce alla prima storica promozione in A insieme a Gipo Viani, e torna nella sua Treviso, per appendere gli scarpini al chiodo e sposarsi con Luciana Menegazzo.

Ma la trasformazione da calciatore a pittore era già cominciata. Aveva iniziato in tenera età suo zio Riccardo Rubrichi, che insegnava arte al Liceo di Treviso. Poi ci si mise Roma. "Essere della Roma allora significava essere soprattutto romano - scrive Giovanni Comisso, scrittore, poeta e amico di Benedetti - per riuscire tale, Cesare prese la residenza nella Capitale sia come calciatore che come artista". Abitò a Piazza di Spagna e iniziò a firmare i suoi quadri con il diminutivo "Benè".

Fu uno dei pochi artisti ammessi alla corte dei Principi di Monaco, dove eseguì ritratti della Principessa Grace, del Principe Ranieri III, della Principessa Carolina e di molti altri membri di palazzo. Lo chiamavano "il pittore dei Papi", per analogia con il suo amico Pietro Annigoni, "il pittore delle regine", e dipinse Giovanni XXIII, Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.

E poi donne, sportivi, cavalli (celebre una sua reinterpretazione del Derby di Epson di Gericault, ma senza fantini né selle, che per Benedetti erano catena della loro naturale libertà), opere esposte in collezioni private in Canada, Costa Azzurra, Stati Uniti, Svizzera, e, ovviamente, ritratti. Di cui uno di Giorgio De Chirico.

E proprio del padre della metafisica italiana l’ex calciatore della Roma fu allievo ma soprattutto amico. “Cesare Benedetti capisce la pittura, sente la forma e sa rendere il volume”, scriverà di lui l'autore della Meditazione autunnale, de Il canto d'amore e de Le muse inquietanti.

I due si erano conosciuti proprio a Roma, dove De Chirico si era trasferito negli anni 40, dopo gli anni a New York. E Cesare Benedetti, ventiduenne centrocampista di quella che era stata la squadra campione d'Italia, si muoveva qui tra allenamenti e atelier, tra scarpini e pennelli, tra i Fori, lo Stadio Nazionale e il Vaticano.

Una malattia l'ha portato via nel 2002, oggi avrebbe compiuto cento anni, ma nel firmamento giallorosso avrà sempre vent'anni. I vent'anni degli eroi, sempre giovani e belli. I vent’anni di chi nella "meravigliosa capitale", come scrive nei suoi ricordi, veste "la prestigiosa maglia giallorossa" e realizza così "un sogno insperato".

“Cesare Benedetti capisce la pittura, sente la forma e sa rendere il volume”

- Giorgio De Chirico