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    In memoria di Piero Gratton


    Venerdì 3 aprile ci ha lasciato Piero Gratton, papà del Lupetto e autore di pagine di storia legate alla nostra identità. In sua memoria, ne ricordiamo la grande carriera

    Per i tifosi giallorossi è l'uomo del Lupetto e della Pouchain. Un simbolo e una maglia nel cuore di tutti i romanisti. Ma la storia umana e professionale di Piero Gratton va ben oltre queste intuizioni geniali, così come l’eredità eterna lasciata alla Roma. Nato a Milano nel 1939, Gratton alla Roma non ha soltanto consegnato uno stile, lo ha reso parte integrante dell’identità della squadra e della sua città.

    Proprio a Roma inizia a farsi conoscere e apprezzare lavorando in Rai come grafico animatore, incarico che esalta le sue doti di artista e artigiano dell’immagine e della creatività, tanto che nel 1961 un quotidiano gli dedica una pagina intera definendolo “Il piccolo Walt Disney della TV”. In oltre vent’anni disegna, crea e inventa per una serie sterminata di produzioni Rai, lavorando a stretto contatto, tra gli altri, con Piero Angela (suo amico fraterno), Enzo Biagi, Andrea Barbato.

    Si occupa di tutto, dalle animazioni per la diretta del luglio del 1969 dedicata allo sbarco dell’Apollo 11 sulla Luna alle trasmissioni per bambini, dalle rubriche scientifiche alla creazione dell’immagine – molto romanista – del Tg2, fino alla sigla di ‘Dribbling’, creata disegnando direttamente sulla pellicola con un pennino bagnato nell’acido.

    In mezzo, lo sport e soprattutto la Roma. Conosce il dirigente Gilberto Viti in occasione del suo primo lavoro nello sport: gli Europei di atletica leggera del 1974, di cui cura l'immagine.

    È lui a disegnare le tessere degli abbonamenti a partire dalla stagione 1974/1975, stagione in cui crea il logotipo della società con “as” in giallorosso e “roma” in nero. È l'inizio di un percorso che lo porterà a costruire una identità visiva completamente nuova. Per la Società del presidente Anzalone disegna praticamente tutto: marchi, locandine, divise, tute, biglietti, pass e prodotti commerciali.

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    Il culmine del suo lavoro arriva nel 1978. Il 19 luglio la Società presenta i nuovi marchi: una "R" nera con profilo giallorosso e soprattutto il Lupetto stilizzato. L'iniziativa suscita alcune critiche, in risposta alle quali la Società fa pubblicare sul Messaggero un articolo firmato “Il Lupacchiotto” (la Roma stessa all’inizio era scettica sul soprannome di ‘Lupetto’), che si rivelerà profetico: "Così sono nato io, legittimo rampollo della più pura stirpe lupina (...). Vi garantisco che il mio cuore non ha niente da invidiare a quello, leggendario, di mia madre, è soltanto più giovane. Datemi tempo e ve lo proverò".

    Andrà esattamente così, in breve tempo tutta la tifoseria si affezionerà al lupetto, come alle nuove maglie disegnate da Gratton e prodotte da Pouchain nel quadro di un’operazione che farà del Club giallorosso l’apripista del marketing sportivo in Italia. La Roma le indossa per la prima volta il 17 dicembre 1978 e batte la Juventus 1-0 con gol di Agostino Di Bartolomei. Piero Gratton quel giorno è a bordo campo e si gode il successo della sua nuova creatura, ribattezzata dalla tifoseria "ghiacciolo" perché l'alternanza dei colori ricordava un gelato in voga all'epoca.

    Nel curriculum sterminato di Gratton ci sono anche le grafiche di due finali della Coppa dei Campioni, disputate a Roma nel 1977 e nel 1984, l’identità visiva dell’UEFA e degli Europei del 1980 e del 1984, campionati nazionali, europei e mondiali di numerose discipline fino alla confezione grafica di “Granfinale”, la partita di addio al calcio di Bruno Conti nel 1991.

    Il suo nome, nell'immaginario dei tifosi romanisti, è sempre rimasto legato al lupetto e alle maglie usate tra il 1978 e l’inizio degli anni 80. E proprio nel percorso che queste due invenzioni hanno fatto nella cultura romanista si vede la grandezza di chi le ha create: sia il lupetto sia quelle maglie hanno infatti prima rappresentato un fattore di rottura della tradizione, per poi, invece, diventare un elemento evocativo proprio della tradizione stessa.

    “Il lupetto – ha detto in un’intervista concessa nel 2012 ad asroma.it - doveva essere un simbolo quasi elementare, un’impronta nata dalla necessità di riprodurre il logo ovunque, anche su una matita. E’ questa sua semplicità a renderlo quasi inaffondabile, senza tempo”.

    Piero Gratton è riuscito ad aggiungere qualcosa all'elemento identitario della Società, nonostante fosse sempre stato fortissimo, riuscendo a unire il sentimento alle necessità commerciali del Club. Ha creato un patrimonio che ha smesso di essere suo, divenendo patrimonio comune perché ogni tifoso poteva viverlo a modo proprio: i bambini che disegnavano i lupetti sui diari di scuola e gli adulti vedevano sotto una luce nuova una Roma che stava diventando grande, oggi vanno a caccia delle riproduzioni delle maglie Pouchain.

    Dei disegni di Piero Gratton. Una persona, appunto, con qualità professionali e sensibilità umana sopra alla media, che avrà sempre un posto speciale nella storia e nella cultura romanista.

    “Al cimitero di Prima Porta c’è un settore dove vengono sepolti i bambini. Lì - ha raccontato Gratton nell’intervista ad asroma.it -, i genitori portano su questo prato i giocattoli dei figli. Non potete immaginare quante bandierine con il lupetto ci sono lì, credetemi è una cosa commovente che mi ha fatto una grande impressione. Non avrei mai potuto immaginare come un simbolo così semplice avesse potuto incidere sulla fantasia di tanti bimbetti”. Nato dalla sua fantasia, il lupetto resterà sempre vivo nella fantasia di ogni piccolo o grande tifoso della Roma. Insieme al suo creatore.