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Luciano Tessari: l'album dei ricordi

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La storia di Luciano Tessari ha un profondo legame con la Roma: il portiere classe 1928 negli Anni 50 ha vestito la maglia giallorossa, mentre nel 1970 è tornato nella Capitale per una breve avventura di allenatore. Negli Anni 80, poi, è stato il secondo di Nils Liedholm, con il quale ha conquistato il secondo Scudetto. Ecco il suo album di ricordi...

“Bei tempi quelli, guardali lì, sembrano i Vitelloni. Eppure erano tutti bravi ragazzi: eravamo una buona squadra, ma purtroppo siamo andati in Serie B. Avevamo troppe paure: segnavamo pochi gol e forse ne prendevamo anche troppi. Non eravamo equilibrati. Quando andavamo a Milano ci dicevamo “quello è Nordahl, quello è Liedholm”. Avevamo già perso la partita prima di entrare in campo”.

barbiere ceretti

“Angelino Ceretti faceva anche il barbiere. Eravamo abbastanza affiatati fuori dal campo, dettaglio importante. Sul campo, però, certe volte i mediani litigavano con le mezzali e con i difensori. Cose che non devono mai succedere in una squadra. Una squadra di calcio deve avere amore e tanta gioia di giocare. Tanto impegno, allenamento. Bisogna essere seri, altrimenti non si riesce nel calcio”.

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“Giocavamo allo Stadio Torino i primi anni. I tifosi di allora erano differenti. A prescindere dal risultato, uscivamo dal campo e andavamo in giro abbracciati ai tifosi fino a Piazza del Popolo, a parlare, ridere e a raccontarci le cose. Era un altro mondo. Oggi non si può nemmeno uscire dagli spogliatoi. Noi eravamo accondiscendenti con tutti ed erano i tifosi ad aiutarci quando perdevamo. Non era facile passare le pene del campionato per un ragazzo giovane”.

squadra

“Lì c’è Knut Nordahl e il grande amico Maestrelli, assieme a Donati e Sundqvist, ala svedese, Andersson mediano e svedese anche lui; Tre Re, difensore centrale, Bacci, un centravanti, Zecca, altro attaccante. Era una bella squadra, potevamo fare di più, ma eravamo sempre sotto la tensione dei giornalisti, non dei tifosi. Non siamo mai stati fischiati o derisi. Eravamo più noi a patire per loro”.

galli

“Testina d’oro, Galli. Abitava sopra di me, avevamo una casa con nove giocatori, tutti insieme, ma alla fine rimanemmo io e lui. Questa è una partita con il Palermo. Era un grande calciatore, oggi ci sono pochi attaccanti come lui: eclettico, un ballerino, faceva anche gol in tuffo ed era bravo con i piedi. Ha fatto sempre la sua parte”.

tessari dolore

“Quello è Foni, allenatore bravo e serio, un Nazionale degli Anni 30 e 40: aiutava molto i giovani come noi. È sempre stato vicino alla nostra squadra, ma nemmeno lui riuscì a fare molto. Una squadra dà quello che ha e, a volte, è inutile parlare di allenatori che non vanno e non aiutano. Il più delle volte è colpa dei calciatori. Sono fortunati i giocatori che incontrano gli educatori, che prima del gioco vedono anche l’uomo, se si riesce a educare gli uomini nel calcio si possono fare grandi squadre”.

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“La vita del portiere è la vita più difficile di un giocatore in campo. È solo, sempre solo, è il difensore della verginità della madre: quando la rete è violata si dispera, diventa matto, è l’ultimo baluardo che aiuta tutti i compagni. Io parlavo con tutta la squadra, “vai un metro più a destra, un metro a sinistra, non rientrare”. I compagni invece quando prendevi un gol si giravano e dicevano “mamma che gol che ha preso”. Bisogna sempre essere forti con se stessi, altrimenti non si riesce a fare niente nel calcio. Sembra facile come mestiere, ma è una delle cose più difficili che ci sono. Fare un lavoro con i piedi non è semplice, ci vuole il cervello e tante altre cose insieme per ottenere grandi traguardi. Ma i grandi traguardi si raggiungono tutti insieme”.

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“Questa è sempre una squadra degli Anni 50, bravi ragazzi anche questi. Non riuscimmo a fare grandi cose, abbiamo sempre lottato, risultati buoni ma non eccezionali: non venivamo fuori”.

masetti

“Guido Masetti, a sinistra, paesano mio di Verona: è stato un grande portiere, uno dei più grandi di tutti i tempi. Quello era Bacci. E poi c’è Angelino Ceretti, un altro educatore. Era un massaggiatore: ti sgridava se cadeva la maglia a terra nello spogliatoio, ti aiutava e ti insegnava i comportamenti: questo è molto importante, indirettamente ci ha sempre indicato la strada, non era compito suo, ma era più forte di lui. Gli ho voluto bene come un padre”.

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“Omino (Giacomo Losi, ndr) è stato un grande, non di altezza, sarà stato 1.70 ma riusciva a prendere la palla a John Charles di testa. Come è possibile? Ci riusciva, aveva uno scatto e una velocità di anticipo e saltava più alto di tutti, ti anticipava sempre. Non ha mai fatto un fallo premeditato. È stato un ragazzo eccezionale, una lealtà mai vista: il calciatore più leale che abbia mai visto in 50 anni di calcio”.

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“Questa è una Nazionale. Pure in Nazionale ero? Non me lo ricordavo più. Tutti mi consideravano il migliore in campo in allenamento, ma in partita giocava Buffon e io restavo il secondo: bisognava starci”.

forza roma

“Quando giocavamo allo Stadio Torino, vincevamo o perdevamo andavamo insieme a piazza del popolo, come era solito dei romani: sempre con la battuta pronta. Le partite con la Lazio e con il Napoli erano piene di folklore. Sempre una grande festa”.

liedholm

“Non ci sono parole per descriverlo. Mi chiamò il direttore sportivo del Milan, Gipo Viani, dicendo che il loro club cercava qualcuno per il loro settore giovanile e il Sarosi, un ungherese che ho avuto alla Roma come allenatore, fece il mio nome. Lì conobbi Liedholm, uno dei più grandi educatori al mondo, lui sì che voleva bene ai calciatori”.

dino viola

“Ecco un grande, un grandissimo, non ci son parole per definire questo presidente. Io l’ho conosciuto negli Anni 50 quando giocavamo allo Stadio Torino e dopo la gara andavamo nella nostra sede, che era a cento metri. Lui era sempre lì, anche durante la settimana. Voleva saper tutto su di noi, era un innamorato del calcio: una persona così non l’avevamo mai vista, sembrava fosse il presidente della squadra, invece era un tifoso comune che poi è diventato un dirigente.

“Poi un giorno l’ho incontrato a Fregene e mi disse “senta un po’, siccome io avrei un grande obiettivo, diventare il Presidente della Roma, che dice lei: potrei farcela?”. Io ci pensai un po’ e successivamente diedi una risposta che non era semplice dare, ma gli dissi di sì: “Lei ha sentito tante cose dei calciatori che le hanno riempito il cuore e tutte le parole sentite da loro hanno fatto il suo curriculum, per questo le dico che lei può diventare un grande presidente”.

Detto, fatto: è diventato il presidente della Roma. Dopodiché nel 79 mi chiamò il dottor Pasquali, vicepresidente insieme a lui, chiedendomi per bocca di Viola di convincere Liedholm a venire alla Roma. A Milano noi avevamo appena vinto il decimo scudetto e al Milan Nils ed era un’icona per i tifosi e per i dirigenti. Gli dissi che potevo provarci, senza promettere niente. Non ho mai visto una persona così combattuta dal dire sì o no, pensava di tradire il Milan. L’ultimo giorno, il quinto, gli dissi “mister, qui ci sono Milan, Inter, Juve, Torino, vincono sempre quelli, penso sia molto facile vincere con loro, ma vuoi mettere vincere a Roma?”. Un silenzio, una pausa, poi la sua mano sulla spalla, un gesto che io riconoscevo come una decisione importante. Mi disse: “Lusiano – mi chiamava così –, andiamo a Roma a vincere lo Scudetto, così facciamo vedere a tutta Italia che si può vincere lo Scudetto anche a lì”. Andammo a cercare tanti giocatori, e la colonna portante fu l’arrivo di Vierchowod, che ci permise di far giocare Di Bartolomei davanti alla difesa.

"Poi prendemmo Falcao, che tutti pensavano fosse un grande calciatore. Andai a vederlo mentre giocava lì con la sua squadra contro il Barcellona. Nel primo tempo era fermo, quasi statico, sembrava guardasse la partita. All’intervallo andai a controllare la lista dei titolari per capire se fosse realmente lui il calciatore in questione. Nel secondo tempo si mosse di più, ma fu sempre lento, però fece due o tre cose che mi convinsero. Scrissi una relazione a mister Liedholm che appena la lesse disse “ma sei sicuro?”. Avevo fatto una premessa e una conclusione: “Sarebbe da scartare, ma alla fine è uno da prendere per queste qualità: quei gesti li ha fatti perché è un grande calciatore”. Lui disse: “Va bene, allora lo prendiamo”.

festa scudetto

“Questa è stata una festa enorme per la città, la strada venne indicata da mister Liedholm e dal presidente Dino Viola, tutti e due puntati col dito verso l’alto come a dire “iniziamo una nuova vita”. Difatti dopo quell’anno la Roma ha sempre fatto meglio ed è sempre stata competitiva. Vincere uno Scudetto non è facile: a parole lo vincono tutti, mentre a fatti è più difficile, però questi ragazzi sono meritevoli. Ho scritto un libro per cercare di ricordare tutti questi ragazzi, assieme a Viola e a Liedholm: questi sono stati gli artefici che hanno vinto veramente un campionato”.

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“Nettuno (Bruno Conti, ndr)…e guarda Ago. Che grandi calciatori, quanto li vedi ti fanno piangere. Questi sapevano fare qualunque cosa, tutto bene, difficile sbagliassero. Ormai erano diventati una squadra, si aiutavano, tutti si aiutavano: uno aveva bisogno dell’altro, son stati bravi ma dire bravi non basta. Hanno avuto tutte le doti che deve avere un calciatore che sono immense, tantissime. Un calciatore deve essere completo e deve avere tutto, dalla tecnica, dal fisico, al carattere, il comportamento”.

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“Quello era un altro figlio (Aldo Maldera, ndr): anche lui è andato in cielo assieme ad Agostino. Era un bambino quando lo prendemmo al Milan: erano tre fratelli di un paese vicino a Bari, giocarono al Milan e lui lo abbiamo preso alla Roma perché erano ragazzi che conoscevamo. È stato utilissimo, ci è mancato solo una volta nel tempo in cui lo abbiamo avuto: nella partita contro il Liverpool”.

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“Hai mai sentito il silenzio, te, nella vita tua? Io sì, l’ho sentito negli spogliatoi ed è una cosa che ancora mi ricordo adesso. Non so spiegarmela. “Non abbiam perso, o sì? Eh abbiam perso, siamo sicuri che abbiam perso?”. Il risultato è quello, loro hanno segnato due rigori in più, avevano un portiere istrione ed è stato lui a far vincere la partita, perché ha imbarazzato i nostri calciatori. Avevamo calciatori non proprio rigoristi e i due tre che avrebbero dovuto calciare erano fuori. Comunque noi abbiamo fatto la partita, ci è solo mancato di vincerla.

“Lui si può chiamare bandiera, la sua onestà, il suo impegno, il suo modo di comportarsi con tutto e con tutti. È stato di esempio per tutti i calciatori italiani, quelli di allora e quelli di adesso in modo particolare. Era leale, onesto, serio ed educato, aveva tutte le doti ed era un esempio per tutti i calciatori. Anche lui se n’è andato dieci anni dopo quella partita con il Liverpool, non può essere…eppure è successo anche questo. Non ci pensare… è in paradiso pure lui, se guardi su lo vedi, sicuro sta lì, vicino al mister”.

"Nel cuore, questi ragazzi non l’hanno persa, anche loro lo dicono. Non abbiamo trovato le parole per spiegare perché non abbiamo vinto. Non abbiamo dato colpe a nessuno, però non abbiam vinto"

- Luciano Tessari

diba

"Il calcio è una gioia, ragazzi. Deve essere una gioia, sennò che calcio è? Gioia di vivere, gioia di esserci”.

tessa 80 anni

Se avessimo vinto sarebbe stato veramente un trampolino di lancio per una grande Roma, se vinci una Coppa cambia tutto: la filosofia di squadra, la filosofia dei tifosi, è come vincere al lotto”.